Capita che mi lamenti della scelta di collocazioni “remote” per le esposizioni di arte tessile, posti difficilmente raggiungibili con i mezzi pubblici, oppure invisibili anche al più moderno localizzatore GPS, invece stavolta devo ammettere che arrivare alla sede dell’esposizione era relativamente semplice, a patto che non si soffra di naupatia, quel fastidio più noto come “mal di mare”. Infatti l’associazione Artlife for the World Contemporary Art Events ha scelto l’isola di Torcello per l’evento “TerraCielo”, un’esposizione di installazioni che fanno riferimento all’arte ambientale.
La relativa vicinanza della sede espositiva, sommata alla curiosità per delle opere assolutamente non tradizionali, mi ha convinto a prendere un treno per Venezia, e poi il vaporetto per Torcello, in una canicolare giornata di Luglio (cosa non si fa per l’arte…).
Tutto bene allora? Ovviamente no.
Posso dirvi che, non essendoci mai stata, la piccola isola di Torcello mi ha colpito molto favorevolmente, così lontana dai cliché turistici, tranquilla e accogliente, e con un sacco di storia, da quella antica, in quanto fu abitata stabilmente dai veneziani fin dal VII secolo, a quella più moderna, giacché proprio qui Giuseppe Cipriani nel 1934 aprì la sua locanda, tuttora in attività, che ospitò decine e decine di personaggi illustri (un nome per tutti: Ernest Hemingway).
Se di Torcello non posso che parlare bene, altrettanto non me lo consente l’evento che siamo andati a visitare. In buona sostanza, escludendo alcune locandine sparse qua e là, della mostra non si aveva poteva avere sufficiente contezza. Le opere erano indubbiamente interessanti, ma per per vederle bisognava partecipare a una sorta di caccia al tesoro con indizi labili e talvolta contraddittori, senza contare il fatto che un paio risultavano praticamente irraggiungibili. Mancando una mappa o un percorso informativo, non ci è rimasto altro da fare che vagare nei paraggi della chiesa di Santa Fosca e del ristorante Villa ‘600 sperando di incocciare in qualche installazione.
Questo spiega la scelta (ironica) del titolo di questo post, ovvero la mia convinzione che quelle opere avrebbero dovuto godere di maggior risalto, in favore dell’artista che ci ha messo dentro anima e sudore, in favore di chi si trovava a passare per Torcello e avrebbe potuto scoprirle, e tutto sommato in favore dell’arte, troppe volte ospite più sopportata che valorizzata.
Nonostante tutto abbiamo deciso di non demordere, e le immagini sottostanti riportano le cose più interessanti che abbiamo visto a Torcello.
Gottardo Bonacini gioca in casa, in laguna. Architetto, paesaggista, giardiniere, ortolano e vicepresidente del Wigwam Club Giardini Storici Venezia, egli ha trovato nella natura gli elementi fondamentali per la sua opera. Si tratta di rami intrecciati (gelso?) che formano una sfera attorno a un telaio di Corten. Si potrà obiettare che l’acciao Corten non è troppo naturale, però andrebbe valutata una peculiarità di questo materiale, quella di formare una patina protettiva grazie a un naturalissimo processo di corrosione elettrochimica, il che evita di dover usare prodotti inquinanti per verniciarlo.
L’opera “Plenilunio”, che di notte appare illuminata, suscita comunque una vaga inquietudine, la stessa che si prova appunto nelle notti di luna piena, foriere di ispirazione, suggestione, struggimento, ma anche di ombre misteriose e arcane.
Arte e design sono elementi fondamentali per la formazione di un artista contemporaneo, però Paolo Stefani ha voluto aggiungere al suo bagaglio culturale anche studi di Fisica e Antropologia Generale all’Ecole du Louvre, a Parigi. Ciò gli ha permesso di attingere a esperienze diversissime per realizzare le sue opere, la natura, le mitologia, la scienza teorica, e persino l’alpinismo.
Nell’opera qui sopra egli ha voluto rendere visibile una metafora, quella della temporalità dell’uomo e delle sue brame di ricchezza e potere (un Attila appunto), contrapposte alla permanenza della natura che tutto sostiene e alle imperiture opere d’arte, queste ultime le rare cose che danno un senso superiore alla nostra esistenza.
Nella basilica di Santa Maria Assunta a Torcello è sepolto Sant’Eliodoro, vescovo di Altino nel IV secolo. Il suo nome in greco significa “Dono del Sole”, lo stesso appellativo utilizzato per una pietra dai vitrei riflessi colore giallo oro e che un tempo veniva ritenuta portatrice di luce, gioia, calore e benessere.
Ed è appunto alla luce che dà vita alla laguna che l’artista veneziana dedica la sua opera, quella luce che si riflette sulle piccole onde, sulle lucide tessere dei mosaici, sulle argentee squame dei pesci, sulla vita di chi nel mare, sul mare e del mare vive.
In fin dei conti anche questa è un’opera tessile, giacché le reti che la compongono altro non sono che filo intrecciato ad arte, magari non la stessa di un arazzo, però non meno rappresentativa di una civiltà.
Avrei voluto osservarle meglio queste due opere di Daniela Arnoldi e Marco Sarzi-Sartori (DAMSS), in fondo si può dire che era stata la loro presenza a sollecitarmi in quella gita lagunare, peccato che fossero “rinchiuse” dietro a un cancello debitamente serrato da un lucchetto del quale era ignoto il proprietario.
Le foto che bene o male siamo riusciti a scattare non rendono l’idea dell’intreccio creativo di quelle liane tessili. “Torc” sta per Torcello ma anche per torcitura, il processo fondamentale per la realizzazione dei filati, e sarebbe stato interessante osservare da vicino l’interpretazione artistica di quel componente così versatile senza il quale non esisterebbe nemmeno l’idea del patchwork.
Venezia prima di Venezia, immagino sia questo il senso dell’opera di Paola Blazquez, ovvero ciò che un abitante di Torcello poteva vedere dalla sua isola alle prime luci dell’alba, quando esistevano solamente terra e cielo, e mare, che per chi vive in laguna è terra anch’esso. Niente navi, niente ciminiere, niente superbi campanili che si inclinano sotto il loro stesso peso, ma una lieve coperta di bruma che sarà presto dispersa dal sole che si sta alzando, e silenzio, il silenzio del leggero sciabordio contro il legno di una piccola batela, il silenzio dell’ultima brezza di terra che accarezza la spartina, il silenzio dei richiami delle timide ballerine, il silenzio dell’acqua appena smossa in superficie dal passaggio di un’anguilla o dal guizzo di un suro, il silenzio di chi vive in silenzio il suo viaggio in questo mondo.
Le colonne delle chiese di Torcello non sono massicce, bombate, rastremate, come quelle in stile gotico, rinascimentale, barocco e successivi, tutt’altro, esse appaiono quasi esili, inadeguate a sostenere le massicce pareti degli edifici in stile paleocristiano, romanico, bizantino, quando invece la realtà dei fatti dimostra che i costruttori di allora conoscevano bene il loro mestiere. Non esistevano cave nei pressi di Torcello, e nemmeno erano presenti nei pressi edifici di epoca romana da saccheggiare, così fecero di necessità virtù, centellinando la pietra con la misura dell’eleganza.
Candida Ferrari è rimasta colpita da quella scelta architettonica, e ha realizzato un’installazione che rende omaggio a quei costruttori e, grazie alla trasparenza, al costruttore primo della laguna: la natura.