Je suis en proie à deux états d'esprit opposés, le premier découle de la satisfaction d'avoir admiré des œuvres textiles d'une facture exceptionnelle et d'une valeur artistique notable, tandis que la seconde est donnée par la conscience d'avoir raté une opportunité.
Je vais commencer par ce dernier, ovvero dal rammarico di non aver potuto conoscere bene di persona un’artista tessile che, pendant des décennies, il opérait dans la même province que moi, pendant que j'étais occupé à visiter des expositions dans la moitié de l'Europe. On pourrait dire que mon inattention était impardonnable, ma, per quanto strano ciò possa sembrare, vi confesso che ho la sensazione di vivere in un cul-de-sac où la collaboration entre artistes n'est pas toujours facile, il arrive donc que nous opérions sans ordre particulier. Per buon peso andrebbe aggiunta una certa riservatezza caratteriale che spesso induce gli artisti locali a evitare ogni sovraesposizione mediatica, un sentiment qui n'a qu'à disparaître avec pudeur (les artistes ont le droit d'être modestes et le devoir d'être vaniteux, a écrit Karl Kraus), mais avec une sorte de respect envers ceux qui se retrouveront à évaluer l'œuvre d'art, la même considération qui devrait être utilisée lors de l'entrée chez d'autres personnes.
J'avoue que j'ai été déçu quand on m'a annoncé la mort de Laila Grison Cavalieri il y a quelques mois, donc je n'aurais jamais pu lui faire savoir à quel point j'aimais ses œuvres. Chi un po’ mi conosce sa bene che i miei complimenti non vengono via un tanto al chilo, donc le goût doux-amer de cette visite est bien justifié.
Après l'exposition, en plus des opérations habituelles nécessaires à la publication de ce post, J'ai essayé de me racheter en cherchant des nouvelles de Laila Grison, mais plus j'enquêtais, plus il me semblait inexplicable que nous ne nous soyons jamais rencontrés, et j'attribue cela à ma propension à ne pas vouloir m'engager ouvertement dans le monde de l'art..
Laila Grison est née à Trieste en 1947, le jour de Noël, du moins quand ils étaient encore présents dans la ville 5000 Soldats américains, on pourrait donc presque dire que c'est au destin qu'elle s'est consacrée patchwork.
Pendant la reprise économique après la Seconde Guerre mondiale, la vocation navale traditionnelle de la ville s'est manifestée dans la construction de nouveaux bateaux à moteur et de paquebots transatlantiques de luxe, bateaux pour lesquels des compétences artistiques étaient nécessaires, une ingénierie et une fabrication adaptées aux temps nouveaux, et pour satisfaire ces besoins, l'Institut d'État des Arts a été ouvert pour l'ameublement et la décoration du navire et de ses intérieurs., puis intitulé en 1963 à l'architecte Umberto Nordio, où Laila Grison a obtenu son diplôme 1965 dans la spécialisation « Art Textile ». Ne pensez pas que c'était un programme d'études de moindre valeur qu'un lycée, in quanto, oltre alle numerose nozioni teoriche, gli studenti dovevano dimostrare doti manuali adeguate e un certo estro creativo. Devant eux, il n'y avait pas de simples professeurs, mais plutôt des artistes d'une calibre incontestable, comme par exemple Maria Hannich, étudiant du Bauhaus et proche de Kandinsky, ou le sculpteur Ugo Carà, qui a aussi « tâté » de la peinture, graphique, architecture et design d'intérieur.
C'était Sergio Molesi lui-même, critique d'art et ancien professeur de l'U. nordique, inventer pour elle la définition originale par laquelle elle serait toujours connue: Agrafeuse magique.
Dopo il conseguimento del titolo di studio, lei iniziò a occuparsi di decorazioni di oggetti d’arredamento, di pittura, di batik, di serigrafia, oltre naturalmente di arte tessile, e nel 1978 allestì la sua prima personale. Altre ne seguirono, oltre alla partecipazione in varie mostre collettive, e le sue opere non passarono mai inosservate in virtù della fattura originale e della forza espressiva. Un vero peccato che non trovò molte occasioni di uscire dalla regione, in quanto sono certa che in Francia o nel Regno Unito i suoi patchwork avrebbero ricevuto avrebbe un’accoglienza indiscutibile.
Je voulais insister un peu suralma mater par Laila Grison pour un de mes petits trucs (del tutto opinabile) concernant la nécessité d'une certaine préparation artistique des quilter. En fait, il m'est arrivé parfois de dire quelques mots critiques sur le fait que certaines œuvres aux expressions innovantes étaient plutôt la réédition de styles picturaux disparus depuis au moins un demi-siècle., et comment il est opportun d'inclure également des personnes ayant une formation adéquate en histoire de l'art dans les jurys des concours, un aspect qui, vous l'esprit, il me trouve aussi pas du tout préparé.
Bene, Je dirais à ce stade qu'il est temps de voir comment Laila Grison a décliné le patchwork.
je commencerais par elle, avec un autoportrait significatif
Che dite, Il n'arrive pas de temps en temps d'avoir une montagne d'idées en tête, sogni, projets, abstractions, résolutions, imagerie, et tu te sens heureux de porter ça “poids”?
“Quoi” c'est un mot d'une langue ancienne, très ancien, a plus de 6000 des années sur mes épaules, d'origine paléo-indo-européenne, nella quale stava per “pietra, e con quel termine i sumeri indicavano il frangiflutti (di pietra, appunto).
I sumeri sono andati, ma le pietre sono rimaste, compresi i loro derivati linguistici che giunsero fino ai Pirenei, e quando gli abitanti dell’altopiano prospicente il limite settentrionale Mare Adriatico scoprirono che sotto pochi centimetri di terra coltivabile c’erano solamente maledettissime pietre chiamarono la loro terra “Carso”.
Il peculiare fenomeno geologico denominato “carsismo”, presente in varie zone del pianeta, venne esaminato scientificamente per la prima volta in questa zona per due motivi. Il primo deriva ovviamente dalla presenza di studiosi locali dell’allora Impero Austriaco che dalla fine del XVII secolo iniziarono a perlustrare le grotte, ma fu solo a metà del XIX secolo che, grazie alle ricerche di Franz Anton Marenzi, si scoprì che a formare quelle particolari cavità con stalattiti, stalagmiti e stalagmati era semplicemente l’acqua con la sua azione chimica sulla roccia calcarea.
La seconda motivazione deriva dal clima tutto particolare del Carso locale, ossia una landa spazzata d’inverno da venti gelidi del Nord e arida d’estate in quanto l’acqua si nasconde per chilometri nel sottosuolo, il che ha impedito la crescita di fitte zone boschive e la formazione di uno spesso strato di terreno fertile, mettendo così a nudo le formazioni rocciose e le doline.
Il Carso di qui è ricco di grotte, e alcune di esse sono particolarmente suggestive anche per chi non ama la speleologia. La Grotta Gigante potrebbe contenere la Basilica di San Pietro, cupola compresa; le grotte di San Canziano/Škocjanske Jame in Slovenia si sviluppano per ben cinque chilometri, e al loro interno scorre il fiume Timavo/Reka, il quale sgorga dal terreno solamente poco prima di gettarsi nel mare a San Giovanni di Duino; le grotte di Postumia/Postojnska jama, sempre in Slovenia, hanno avuto i loro primi visitatori nel XIII secolo, e nel 1872 venne realizzata il primo tratto della ferrovia a scartamento ridotto che oggi trasporta centinaia di migliaia di visitatori all’anno.
Si diceva del fiume carsico Timavo/Reka e della sua cortissima foce. Proprio nei pressi di San Giovanni di Duino si trova il Castello di Duino, sorto come rocca sulle rovine di un avamposto di vedetta romano, e poi ricostruito nella forma attuale alla fine del XIV secolo. Le sue mura si gettano a picco sul mare, e la zona è talmente suggestiva che Rainer Maria Rilke iniziò qui a stendere le famose Elegie duinesi, ospite della famiglia Della Torre, Duchi di Castel Duino.
In quest’opera Laila Grison non ha solamente inteso rappresentare un pittoresco tramonto che si accende alle spalle delle antiche torri, bensì ha voluto dar conto anche di un certo spessore storico di quell’edificio, quasi a farlo emergere dalla transitorietà del momento.
A onor del vero, Duino ha recitato un ruolo non trascurabile nella storia di Trieste, in quanto furono anche i buoni uffici di Ugo VIII di Duino presso il duca Leopoldo d’Austria a favorire lel 1382 la storica dedizione all’Austria, giurando di “tenere la città pel Duca di Osterreichi”.
Una delle peculiarità locali, positiva o negativa a seconda dei gusti, è costituita da un fenomeno meteorologico unico che non raramente ha messo in difficoltà chi non ha dimestichezza con le sue bizzarrie. Sto parlando della Bora, un vento freddo da Nord-Est che in certe condizioni climatiche si trova a soffiare con violenza in alcuni punti delle coste orientali del Mare Adriatico, tra le quali il Golfo di Trieste. Quando attorno al Mar Tirreno si formano delle zone di bassa pressione può capitare che aria fredda e pesante della zone dietro alle Alpi Dinariche e Giulie tenda a “cadere” in quella direzione, e lungo la strada incoccia nella catena del Velebit e nell’Altopiano Carsico. Non potendo superare in altezza nemmeno quei modesti rilievi, trova il modo di passare attraverso alcune strette “porte”, e di conseguenza la sua velocità aumenta in modo considerevole (come quando si schiaccia la bocca del tubo di gomma mentre stiamo innaffiando il giardino).
Il guaio è che non si tratta di un vento costante, bensì si presenta con violente raffiche dalla direzione imprevedibile, quelle che qui vengono chiamati “refoli”, e la velocità supera spesso i 100km/h. Tanto per portare un esempio: nel febbraio 2012 un anemometro sul molo F.lli Bandiera registrò una raffica a 183km/h, ma appena a qualche metro di distanza un equivalente anemometro rilevò nello stesso momento “solamente” 168km/h. Dove saranno finiti quei 15km/h di differenza?
Quando arriva la Bora tutto si ribalta, persino il buon senso, giacché ci si trova in uno stato di agitazione psicologica non sempre stabile, visto l’imbarazzo nell’incedere a strappi, giusto nelle pause tra una raffica e l’altra, e dati gli sbalzi di pressione atmosferica che si propagano nell’umore che pendola dall’eccitato al mesto. Osservate come nella sua opera lei ha rappresentato l’effetto della Bora, le circonvoluzioni del vento, l’andamento incerto delle persone, lo stravolgimento di concetti geometrici come “bolla” e “piombo” e il caos generato da situazioni occasionali e imprevedibili. Non appare troppo strano quindi che i “foresti” evitino di uscire di casa nei giorni di Bora.
E cosa si fa quanto soffia la Bora? Semplice, si resta a casa, ciò vale per noi ma ancor di più per i gatti, ai quali le raffiche di vento danno molto fastidio.
Sappiamo bene che ogni quilter che si rispetti gode sempre della compagnia di almeno un gatto, incuriosito dal nostro armeggiare con le stoffe, oppure cullato dal monotono ronzio della macchina da cucire, e guai se un rocchetto di filo cade sul pavimento, potete darlo per perso…
Che dire, anche l’arte tessile ha il suo lato divertente.
Quando non si confina la fantasia all’interno della nostra comfort zone può capitare di dare forma visibile a composizioni in grado di sorprendere anche noi, e questo suppongo sia capitato a Laila Grison, con questa piccole figure nate quasi da sé partendo dagli avanzi degli avanzi di stoffa.
Chissà, forse sarebbero perfetti per un film di fantascienza underground, uno di quelli dove succede che automi, androidi e affini si dimostrano più umani degli umani.
Santa Maria in Siaris è una chiesetta edificata nel XIII su un crinale della Val Rosandra, poco sopra la medievale “via del sale”, il sentiero utilizzato per trasportare quel prezioso minerale dalle saline della costa alle zone interne del Carso e oltre.
Se la denominazione “in Siaris” è di origine incerta, forse ricondicibile al ladino “masiarjs” che indicava una zona pietrosa (nel veneto coloniale di Isola d’Istria si usa il termine “masiera”), ben più comprensibile è la denominazione slovena, ovvero Marija na Pečah (Madonna sulle Rocce).
Qui, oltre alla chiesa, è stata raffigurata quella zona della Val Rosandra, i colori del torrente, del calcare carsico, dell’arenaria istriana, della vegetazione selvaggia e tenace, dei paesini composti da piccoli edifici che si stringono nel poco spazio disponibile, delle oscure gole, dei ghiaioni, con un occhio (Dio?) che sta sopra la scena ma ne è in qualche modo legato indissolubilmente.
Non si tratta di un panorama ameno, le prospettive e le proporzioni sono accuratemente evitate, anzi viene accentuata la difficile convivenza tra gli elementi, e in buona sostanza si tratta di una rappresentazione simbolica, oserei dire icastica.
A volte capita che la chiave di lettura di un’opera non stia nell’opera stessa, bensì in quanto la circonda.
Fate caso al patchwork qui sotto, un lavoro indubbiamente complesso, una composizione astratta nella quale è difficile trovare forme o tonalità dominanti. Le stoffe sono delle più varie, con simmetrie solo apparentemente rispettate, e si potrebbe definirlo un fantastico zibaldone tessile. Ciò che invece racchiude il senso di quest’opera è lo sfondo, grigio, il colore della monotonia, dell’aridità sociale, dell’accidia, dell’assenteismo, del futuro identico al passato, quando invece Laila Grison in cuor suo forse anelava a un mondo in divenire, imprevisto, colmo di colori e di bizzarrie.
Come tutte le sue opere, anche questa è realizzata completamente a mano, e osservandola bene potrete rendervi conto di quanto eccezionali erano la sua pazienza e la sua abilità con ago e filo.
Più che un “mondo”, secondo me questo è un bellissimo “sogno a colori”, ma se io volessi realizzare qualcosa di simile sarebbe un incubo.
Il cielo è in grado di offrire spettacoli meravigliosi e inaspettati, tanto più preziosi quando sono rari ed effimeri. Al sorgere o al calare della Luna sull’orizzonte può capitare talvolta che essa presenti un colore rossastro. Si tratta di un fenomeno che dura pochi minuti, ma per chi ha la fortuna di osservarlo è un’esperienza indimenticabile, per certi versi persino fonte di turbamento.
Ciò che mi ha entusiasmato di questo patchwork, oltre ovviamente al risultato estetico, è la varietà dei materiali utilizzati per ottenere un effetto pittorico estremanente efficace, la contaminazione di elementi e di trame che non manco mai di ammirare (e invidiare).
Adesso spetta a voi trovare una definizione adeguata per la prossima forma di arte tessile. Di sicuro non è un quilt “classico”, ma nemmeno una composizione crazy. Si tratta di un’opera troppo divertente per essere semplicemente etichettata come patchwork tridimensionale, come pure sarebbe limitativo definirla una scultura di tessuto.
Il titolo pone un altro interrogativo, ovvero “La mano della Magica Cucitrice”, e ci si dovrebbe chiedere: quale delle due è la sua mano?
Chissà, forse lei ha trovato l’ispirazione dopo aver visto la litografia di Escher “Mani che disegnano”, forse è il ricordo di un sogno molto intenso, forse voleva comunicarci che talvolta è la mano a condurre il gioco, forse, anzi è praticamente certo, non lo sapremo mai, e tale enigma contribuisce alla bellezza di ciò che stiamo osservando.
Chiuderei questa breve galleria di opere con quella che porta con sé il messaggio più importante, il concetto primo che dovrebbe astrarci da tutti gli aspetti che rischiano di “inquinare” ogni espressione artistica, ovvero la ricerca del successo, l’esibizionismo, la vil pecunia, l’invidia, la spocchia, l’imitazione che rasenta il plagio, la paura di osare, l’autocompiacimento, il conformismo e gli altri artificiosi confini culturali, sociali e morali.
Il cucito è magia, perché il totale è maggiore della somma delle parti (Aristotele).
Lo è quando prende forma materiale ciò che prima era immateriale, ossia l’immaginazione che d’incanto si può toccare, sfiorare, trasmettere.
Lo è quando un sogno non svanisce all’alba e trova vita nelle tecniche del cucito, con la permanenza che supera il momento, o, come scriveva Paul Valéry, “Le Temps scintille et le Songe est savoir“, il tempo scintilla (è brillante ma fuggevole) e il sogno è conoscenza (il vero sapere).
Lo è quando ogni cosa in grado di cucire può divenire uno strumento atto a realizzare un’opera d’arte. Osservando i vari oggetti rappresentati troviamo una cucitrice, una magica cucitrice s’intende, la quale porta degli aghi al posto dei punti metallici. La pressione per azionarla viene fornita da una mano altrettanto magica, composta da tutte quelle idee, quelle suggestioni che andranno in qualche modo rappresentate, con l’estro artistico che l’aiuta come se fosse l’indispensabile pollice opponibile, e sopra quello strumento, se aguzzate la vista, scoprirete la sua definizione, così, in fin dei conti, ancora una volta siamo di fronte a un autoritratto.
In aria poi si levano dei lunghi aquiloni, con un solo esile filo da cucire a impedire che si perdano nel cielo, e d’un tratto ecco scoccare la scintilla dell’ispirazione, rappresentata da quel fulmine che illumina la scena altrimenti oscurata dalla tediosa quotidianità.
Tenetevelo bene a mente.
Direi che avete materiale a sufficienza su cui riflettere, e che quanto ho riportato in questo post sia abbastanza rappresentativo della creatività e dell’abilità tecnica di Laila Grison Cavalieri. Altre immagini che non sono state inserite qui le potete trovare nella mio album di Flickr.
Vorrei spendere ancora qualche parola sull’ambiente che ha ospitato questa mostra, un ambiente curato e suggestivo (magari un filino scuro) che ha costituito un’adeguata cornice alle opere di un’artista tessile che avrebbe meritato una ribalta internazionale al pari delle più note quilter d’oltralpe, ma da parte mia almeno mi consolo col fatto che ho avuto la fortunata occasione di ammirare una parte della sua produzione artistica.