Welcome in England!
Eccomi qua, sana e salva.
Sono capitata in Inghilterra giusto nei giorni degli scontri, e proprio a Londra e a Birmingham mannaggia. C’era chi dall’Italia mi inviava degli SMS interrogativi e vagamente preoccupati; mi immaginava già nel bel mezzo degli scontri, presa tra due fuochi, ovvero tra la polizia e i teppisti, in cerca di una via di scampo tra i cristalli infranti delle vetrine saccheggiate e le fiamme delle automobili incendiate.
Un po’ mi è dispiaciuto deluderli.
A Londra, una metropoli formicolante di 20 milioni di abitanti, gli scontri a Totthenam e a Brixton non giustificavano i titoli allarmistici dei media italiani (es. Tutta Londra in fiamme); in proporzione era come se in un condominio di 40 appartamenti un marito si fosse messo litigare con la moglie.
A Birmingham poi, a parte i soliti poliziotti in giallo che bighellonavano non sapendo che pesci prendere, una volta sola ho avuto la possibilità di vedere 2 (due) tipi in tenuta antisommossa che interdivano preventivamente l’accesso al centro del Bullring.
In ogni caso, quest’anno, per impedirmi di vedere il Quilt Show di Birmingham non sarebbero bastati neanche i carri armati, e poi capirete il perché.
Come al solito, me la sono presa comoda; sono arrivata a Birmingham ben quattro giorni prima dell’apertura della mostra e ne ho approfittato per fare qualche giretto nel Regno Unito.
Forte delle passate esperienze ho trovato un albergo che garantiva una ricca prima colazione, aspetto più importante di quanto si creda in quanto non è che il buon cibo sia tra le maggiori preoccupazioni della gran parte degli inglesi.
Lunedì una scappata a Londra era d’obbligo, tanto per confermarmi che è sempre lo stesso caos che ricordavo, se non ancora peggiore.
Fantastico un tipo che è venuto dall’Italia in SUV e a un incrocio ha preso contromano la Oxford Street (dai, dai, facciamoci sempre riconoscere!). Dovevate sentire il concerto polifonico di clacson con l’accompagnamento del coro di maledizioni che fungeva da colonna sonora alle sue imbranate manovre per togliersi da quella situazione imbarazzante. Alla sera, dopo aver consumato il primo millimetro di suola delle scarpe comode prese per l’occasione, mi sono finalmente rilassata in un localino di Soho, davanti ad una fumante pasta al pesto.
Il giorno dopo era il turno di Chester, una paese medievale vicino a Liverpool; devo dire che è una delle cittadine più belle che finora ho avuto modo di visitare in Inghilterra, una vera chicca. Il centro storico, ovviamente interdetto al traffico, è formato da antiche case a graticcio, e sulle vie si aprono le vetrine dei negozi caratteristici (niente centri commerciali) dove si possono trovare simpatici oggetti “british” ben diversi dalla solita paccottiglia turistica, e a prezzi assolutamente abbordabili.
Dopo aver tanto scarpinato mi ci voleva una giornata di tregua, di meditazione e di calma; e quale miglior metodo per riflettere di quello di sedersi dinnanzi a una grande pietra immobile? Il posto giusto è Stonehenge, il famoso sito archeologico nel quale dei giganteschi monoliti da millenni infitti nel terreno ci ricordano che talvolta le cose vanno viste da lontano, perché da lontano arrivano e più lontano di noi andranno.
Seduta su quella distesa erbosa tentavo di immaginare l’immane fatica di chi, con mezzi assolutamente impari, aveva scalzato, lavorato, trasportato, eretto quell’anfiteatro (Calendario? Tempio? Osservatorio astronomico? Sfoggio di potenza?) magari senza comprenderne il senso, e con l’unica certezza che non ne avrebbero visto il compimento.
Eccomi finalmente al NEC, ben un’ora prima dell’orario di apertura: biglietto (14 £), catalogo (6 £), coda (200 persone).
Dopo mezz’ora la situazione dietro di me è ancora peggiore; se non fossi già a conoscenza degli spazi enormi a disposizione del Quilt Show avrei senz’altro avuto motivo di preoccuparmi di tanta calca.
Pur nella proverbiale compostezza britannica, l’eccitazione si taglia con un coltello, punteggiata da qualche occasionale risatina. Io ho qualche motivo in più che alimenta le mie aspettative e, perché no, anche un po’ di inquietudine. Appena entro in possesso del catalogo non resisto e inizio subito a sfogliarlo: eccomi, ci sono anch’io in elenco, evviva! Adesso l’unico dubbio che rimane è se i miei lavori saranno esposti sopra il banco delle patatine fritte o quello delle baguette…
Ten o’clock: si va.
Non prendetevela a male, mettetevi nei miei panni; se tre anni fa, quando venni per la prima volta a Birmingham, qualcuno mi avesse detto che un giorno ci sarebbero stati anche i miei lavori in concorso l’avrei preso per pazzo. Eppure eccomi qua. Allora la prima cosa che faccio è cercare di orientarmi per trovarli.
Eccone uno, è quello che ho fatto con la mia amica Graziella: che bello, fa la bella sua figura con tutti quei colori, un vero “Arcobaleno sul mare“.
Scappo per trovare il secondo, eccole là “Le quattro stagioni“! Chissà che effetto farà, tutta quella nostra scabra pietra di quel muro e del portone, rustici, imperfetti, alle inglesi quasi sempre circondate da case di soli mattoni a vista tipo Lego?
Lo so, ho esagerato, ma, come se dice, non c’è due senza tre, e così…
Alla fine trovo anche il terzo, “Il raggio verde“. E’ il meno appariscente ma è quello che sento più mio, più intimo, più sognato. Anche lui, pur nella sua cupezza, non manca di attirare l’occhio.
Sono veramente contenta. Conoscevo l’elevato standard qualitativo e artistico delle creazioni esposte a Birmingham e pertanto qualsiasi premio era fuori discussione, ma già essere qui, vederci i miei lavori e verificare che, tutto sommato, non sfigurano troppo, è già, per me, aver preso un terno al lotto.
Dopo aver appagato il mio ego, posso finalmente iniziare a perdermi nella vastità e nella varietà di questa mostra.
Potrei parlarvi di chi ha vinto, ma invece mi va di mostrarvi subito il lavoro che ha suscitato più interesse nel pubblico, per originalità del soggetto e temerarietà dell’autrice.
When I am an old woman I shall wear purple
With a red hat which doesn’t go, and doesn’t suit me.
And I shall spend my pension on brandy and summer gloves
And satin sandals,
(Quando sarò vecchia mi vestirò di viola
Con un cappello rosso che non mi entra e non mi sta bene.
Spenderò tutta la mia pensione in brandy e guanti estivi
E sandali di raso,).
Nella ressa, riuscire a scattare una bella fotografia dei lavori,i il più delle volte è Mission Impossibile, specialmente di quelli premiati.
Per fotografare quelli più grandi ci si deve appostare pazientemente in agguato, macchina pronta per catturare l’immagine in quella frazione di secondo durante la quale non ci sono persone che, giustamente, desiderano ammirare il quilt da vicino.
Nella categoria “Tradizionale” ha vinto più che meritatamente Deborah Kemball con “Heart’s Desire” un lavoro per il quale non trovo aggettivi adeguati.
Date un’occhiata ai dettagli. Curatissimi.
Dal grande passo al piccolo: la categoria Mini Quilts
L’opera “Blue like a Wedgwood” di Kumiko Frydl è stata sicuramente premiata per la cura e la raffinatezza della quiltatura, una lavorazione che se non la vedessi con i miei occhi non la riterrei possibile.
Più umano ma non per questo meno interessante e gradevole questo minimo paesaggio di Sandra Goldsbrough intitolato “Llleyn Memories“.
La penisola di Lleyn si protende dal Galles verso la vicina Irlanda e ha alle spalle il parco naturale di Snowdonia, una delle zone più belle del Regno Unito.
Nella categoria Art Quilt – Amatoriali è stato premiato il vivacissimo patchwork di Janneke de Vries-Bodzinga “Octopussy“.
Nella categoria 2 persons il migliore è stato giudicato “Amazed” di Margaret McDonald & Susan Campbell.
Doppio prestigioso riconoscimento per Janneke de Vries “Hot Africa”, migliore Pictorial Quilt e premiato come Best of the Show, un lavoro pregevolissimo per composizione pittorica, e realizzato con estrema cura. Incredibile. Inarrivabile. Invidiabile.
Gli altri lavori premiati non riesco a fotografarli, c’è sempre troppa gente, meglio rimandare al pomeriggio. Andiamo avanti (ma anche indietro, di lato, a zig-zag, a caso), ci sono tante altre belle cose da vedere.
Come per esempio questo bel giardino di glicini realizzato da Anna Maria Schipper-Vermeiren, un’applique di tanti piccoli esagoni su una base di blocchi snail-trail. Mmmm, sembra quasi di sentirne il profumo…
Da un esagono all’altro, non potevo non restare impressionata da questo lavoro di Charlotte Bailey, una fan sicuramente di Billie Joe Armstrong. Questo patchwork monocromatico è stato realizzato mediante un’infinità di esagoni di stoffe diverse, tutte con diverse percentuali di bianco e nero.
Il dettaglio (ricavato dal blog vicki-heylookwhatimade.blogspot.com) è testimone della difficoltà di realizzazione di quest’opera, peraltro basata sullo schema molto tradizionale come quello del giardino della nonna.
Molto espressiva è anche “Loss of the French Schooner ‘Jeune St. Charles'” di Anne Taylor, la drammatica rappresentazione del naufragio della goletta, effettivamente accaduto nel 1858 nei pressi dell’Isola di Man, nel temibile Sound.
La croce rappresentata nell’opera è la Thousla Cross, un tempo eretta sull’isolotto denominato Thousla Rock per commemorare l’eroismo dei volontari che si spinsero nel in mare per salvare l’equipaggio della goletta.
Oltre alle corsie destinate ai lavori in concorso ci sono delle zone dedicate a eventi specifici. Uno di questi è “Diversity in Europe” organizzata dalla European Quilt Association. Ci sono lavori diversissimi per stile e soggetto, testimoni dello standard qualitativo dei vari paesi europei.
Ecco un lavoro dalla Francia, evidente la grandeur… ,
uno dalla Svizzera, preciso come un orologio svizzero, appunto… ,
il nostro bellicoso medioevo ha ispirato questo lavoro dall’Italia,
tipicamente ungheresi questi forti contrasti tra il fondo chiaro e il disegno scuro.
Troppo da vedere per due occhi soli, specialmente quando ci si trova di fronte lavori come questo: “Dassehra” di Dwnte Kultorp Andresen. Fa caldo solamente al guardarlo.
Già come semplice dipinto sarebbe magnifico, se ci aggiungiamo che invece delle tempere sono state utilizzate delle stoffe non ci sono parole.
Anche una creazione di dimensioni più modeste ha il suo valore se realizzata con cura e attenzione dei dettagli. Esemplare è questo Un esempio è questo “Portrait of a Tudor Rose” di Elizabeth Richmond.
Ecco un dettaglio di questo mirabile pannello.
Toh, un altro piccolo padiglione internazionale organizzato dalla European Quilt Association; questo è dedicato all’evento “Circe of Friends”. Fermo restando la forma geometrica (il cerchio appunto) e le dimensioni, ogni paese aveva a disposizione 3 colori specifici da utilizzare in proporzioni prefissate dall’organizzazione.
All’Italia è toccato il difficile compito di assiemare bianco, il nero e l’arancione.
Sono qui da due ore e passa ormai e mi sembra di non aver visto ancora niente.
Questo gruppo di 6 persone si è dato un bel da fare per realizzare questo meraviglioso quilt, tutto trapuntato a mano.
Il dettaglio dei nodi celtici ne giustifica il titolo: “Celtic Shadow”
Una bella novità l’ha portata Jennie Rayment con questi suoi lavori di stoffa pieghettata, qualcosa a metà tra il quilt e l’origami. Belli, tanto che non posso fare a meno di comprare il suo libro, nella speranza che nella mia terza vita futura (la prossima è già tutta occupata) troverò il tempo e il coraggio per cimentarmi con questa tecnica.
Jennie Rayment, elegantissima nel suo vestito da lei realizzato con il suo stile, è gentilissima, e mi concede una personale dedica sul libro.
E’ da un po’ che vanno di moda i banner. Sarà che io ho un carattere difficile e tendo a isolarmi, sarà che non nutro molta fiducia nello spirito collaborativo femminile, ogni volta che vedo un banner particolarmente bello resto estasiata come se mi trovassi di fronte a un miracolo. Anche stavolta è lo stesso grazie a questo lavoro di gruppo intitolato “Along the Shore to Broughty Ferry“.
Un po’ di relax, riposando la vista e la mente con le “Quiet Reflections” di Jane Appelbee, un’immagine che un po’ mi riporta a casa, a un mare tranquillo e non bigio e minaccioso come quello che ho visto al Nord.
Ormai mi sto dimenticando di fotografare. Ho perso due cose: l’orientamento e la speranza. Per le foto e l’orientamento, fortunatamente non sono sola. Per quanto riguarda la speranza di arrivare a questi livelli meglio non illudersi, sono vette irraggiungibili.
Anche i lavori meno appariscenti svelano un’accuratezza e un gusto fuori dal comune. Jaqueline Filer ha (pensato, sognato?) per il suo “Singapore Sling” una quiltatura diversa per ogni singolo quadretto, dei disegni morbidi e armoniosi, perfettamente intonati alle soffici nuances della trapunta.
Come sempre gli animali sono dei soggetti stupendi, specialmente se si tratta di animali selvatici.
Una lepre perfettamente trapuntata di Linzi Upton & Mo Fettes,
un rinoceronte, ripreso da un’antica illustrazione,
una tigre realizzata da Maria Elena Zaratin,
un maestoso leone di Mick Stead,
e per finire questo tris di animali intitolato “Run, Rise, Reign” di Louise Jessup,
già che ci siete, date un’occhiata al dettaglio dell’occhio del leone… Quanti chilometri di filo avrà impiegato?
Persino i temi più semplici si prestano a una visione alternativa, artistica, della realtà.
Una vecchia porta del Maghreb, Margaret Ramsay “Tunisian Door”, rispecchia un po’ lo spirito di quelle terre dove le monocrome tonalità sabbiose vengono combattute con una variopinta sinfonia di colori accesi.
Un gruppo di case che emerge dalla nebbia (acqua, nuvole, sogni?) sarebbe perfetto per l’ambientazione di una storia fantastica.
Uno scorcio che sembra disegnato a matita, Jose Beenders-Klomp “El Sur”. Devo proprio avvicinarmi per riuscire ad apprezzarne la misura nell’uso del filo e del colore.
“Ascent” di Linda Robinson, quasi un’onirica visione di piccoli uomini che si arrampicano verso la luce, mi colpisce per l’innovativo uso della garza e l’effetto tridimensionale che ne consegue. Da memorizzare per il futuro…
Gira che ti gira capito nella zona dove vengono esposte le creazioni di Prague Patchwork, opere che conosco bene, o almeno così pensavo fino che non ho visto questo enorme lavoro di gruppo; ma quante sono?
Ancora una volta non posso fare a meno di complimentarmi con le quilter ceche per l’alto livello raggiunto in così poco tempo; sentirete ancora parlare di loro.
Ogni tanto mi capita di voltarmi e di essere colta di sorpresa da tali dimostrazioni di bravura che ci vorrebbe un minimo di avviso per non demoralizzarsi troppo. Come per esempio la quiltatura (a mano e a macchina long arm) di Robyn Fahy per il suo “Wholecloth One“.
Osservate questi patchwork. Belli vero? vediamo se indovinate da dove vengono e chi li crea…
Chi l’ha detto che questo è un lavoro da donne? Questo signore egiziano, come molti altri suoi colleghi del Cairo realizza queste opere mediante attrezzi modestissimi, e completamente a mano.
Traccia il disegno a matita sulla base, accosta al stoffa del top al disegno, ne taglia un pezzo con delle forbici abbastanza grossolane, quindi lo adatta e ci dà dentro di ago a filo a una velocità disarmante. Altro che righelli, sagome, cutter, rodoide, tavoletta (magari anche rotante), macchine speciali, doppio trasporto. Niente, solamente forbici, ago e filo, e abilità ovviamente. In un paio di giorni, oplà, il pannello è bell’e terminato.
Mentre scrivo queste righe, sto rivivendo la mia esperienza a Birmingham come un flashback e mi rendo conto che non sto raccontando neanche il dieci per cento di quello che ho visto: sto sicuramente dimenticando qualcosa o qualcuna, ma non ci posso fare nulla se non scusarmi per la limitatezza della mia memoria e per l’inevitabile parzialità dettata dal gusto personale.
Credetemi, ho camminato tutto il giorno, dalle dieci del mattino alle cinque e mezza di sera e, al di fuori di una sosta per una baguette pomodoro e formaggio in funzione antisvenimento, ero come una trottola tra le varie corsie della mostra. Anche alla sezione commerciale, estesissima, non ho riservato niente di più che una fugace visita.
Alla sera ero veramente sfinita, o per meglio dire, deliziosamente stanca, piacevolezza accresciuta dal fortuito incontro con Giuliana Nicoli di Bassano, anche lei lì con alcune amiche a “rifarsi gli occhi”. Dei miei saggi propositi di ritornare nel pomeriggio per scattare le foto agli altri lavori troppo “affollati” in mattinata non ne è rimasta che la buona intenzione, anche perché la ressa non accennava a scemare e, in pratica al momento della chiusura c’hanno praticamente dovuto buttare fuori.
Le immagini che ho inserito su questo blog sono solamente una parte di quelle che ho scattato alla mostra. Queste e le altre sono visibili (anche a risoluzione più alta) su 2 album Flickr; per vederle è sufficiente ciccare su questo primo link e su quest’altro secondo link.
Badate che anche le immagini che trovate sui miei album di Flickr sono una frazione di ciò che era visibile al Quilt Show, pertanto concedetemi di trovare perfettamente appropriata la frase “non sapete cosa vi siete perse”.
P.S. Nel caso fossi riuscita a solleticare la vostra curiosità e a farvi desiderare di fare una scappata al Quilt Show in futuro, sarò felice di fornirvi alcuni suggerimenti per trasformare una semplice visita dedicata al patchwork in una rilassante vacanza nella terra d’Albione. Don’t worry, non amo stressarmi con orari e Strafenexpedition da turista d’assalto, tutt’altro, e ciò nonostante mi sono permessa, i due giorni dopo la mostra, pour aller respirer l'atmosphère sévère d'Édimbourg en Scozia,
per godere della tranquillità del Galles settentrionale, un posto pieno di storia e di castelli.
Bye
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