mivviva! Dopo un mese e mezzo di stop per causa di forza maggiore (frattura del polso) si poteva riprendere in mano, anzi in due mani, il blog. Invece, appena pubblicato l’articolo sulla mostra di Maniago, sono iniziati i problemi telefonici, e perciò anche di internet, fino al collasso della linea. A detta dei tecnici, la linea che serve la nostra frazione fa leggermente schifo a causa di vecchi cavi aerei, riparazioni provvisorie (e perciò permanenti), giunti di tipo gordiano, dispersioni e disturbi vari. Dopo settimane di black-out la lucina del modem è finalmente tornata verde (ma del doman non v’è certezza), e anche se la velocità di connessione è, sembrava impossibile, ancora più bassa di prima, cercherò di mettere in rete un nuovo post. Speriamo bene.
Allora, andiamo a cominciare.
C’è filo e filo, bisogna fare attenzione, specialmente quando si procede sul filo del rasoio. L’agognato fil di fumo si rivela un dramma insopportabile per Madame Butterfly; il filo della spada ha falciato milioni e milioni di vite nel corso della storia; il filo elettrico è una trappola silenziosa sempre pronta a scattare; di filo è fatta la rete del pescatore, una ragnatela di mare, quella di un ragno che non cattura una preda alla volta, ma dieci, cento, mille prede a levata. La pericolosità di questi fili è nulla se paragonata a quella del filo usato per quiltare. A volte basta solamente sfiorarlo per contrarre una malattia incurabile, per sviluppare un’infezione destinata a diffondersi nel sistema nervoso, la quale è in grado di alterare la percezione sensoriale, specialmente la vista e il tatto, e di conseguenza si sviluppano degli stati emotivi monomaniacali, dissociati, furiosi, un serio preludio alla perdita dell’equilibrio mentale. Da qualche tempo sui pacchetti di sigarette appaiono del messaggi ammonitori, del tipo “il fumo uccide” e roba del genere. Se tanto mi da tanto, troverei prudenziale esporre all’ingresso di ogni merceria che tratta di patchwork il seguente cartello “Attenzione. Chi tocca i fili muore”.
A quanto pare le quilter del Valbruna Patchwok Club non temono il contatto con il filo, o magari hanno smesso di temerlo perché ormai si sono arrese alla follia tessile, e anzi a quello hanno dedicato l’edizione 2017 della loro mostra “Il filo che unisce – Der fader der vereint”. Suppongo che non vi sia sfuggito l’aspetto particolare del titolo in italiano e tedesco, e proprio in questo non trascurabile dettaglio sta la chiave di lettura di tutta la loro esposizione, e spero anche qualcosa di più. Volendo prendere un treno (che non c’è), da Valbruna bastano un un paio d’ore per arrivare a Friesach, e allora le quilter della Val Canale e quelle carinziane di Textilkunstverein Patchwork Friesach hanno pensato bene di unire le loro forze, o per meglio dire i loro fili. La mostra questo è, il felice frutto della collaborazione tra due associazioni libere e attive, con un filo che è, citando McLuhan, medium e messaggio, lingua franca e condivisione di intenti tra due valli che un secolo fa invece furono divise da un altro filo, un filo spinato.
Immagine da: iteredizioni.it
E io, sempre così pessimista, sempre più disincantata, sempre velatamente acida, alla Olive Kitteridge tanto per capirci, provo un inatteso piacere nell’essere smentita, nello scoprire che c’è chi non teme il confronto, ma invece lo cerca, che non si limita a difendere il suo orticello, ma semina oltre e ne condivide i frutti, che sa guardare con ammirazione, perché il patchwork del vicino è sempre più verde, e azzurro, e pervinca, e viola, e turchese, e cremisi, e ocra, e fucsia, e malva, e… e secondo il vicino anche il nostro è più verde, e azzurro, e pervinca, e… Che bellezza, anzi, che bellezze! Uno, la bellezza di Malborghetto, un piccolo paese che sembra abbia schivato almeno in parte le brutture partorite dalla febbre turistica degli anni ’60 e ’70. Un tempo ci si poteva arrivare in treno, un servizio lento ma capillare, mentre oggi i pochi treni rimasti passano oltre, tanto veloci quanto inutili, e dei bus poi non ne parliamo nemmeno. Così il paese è rimasto sospeso in una specie di limbo, e conserva un’atmosfera tranquilla che è rara altrove, una sorta di buen retiro non elitario.
Malborghetto
Due, la bellezza di Friesach, anzi Burgestadt Friesach, la città dei castelli, la più antica della Carinzia, con le sue mura del XII secolo e altri edifici di poco successivi, un posto da visitare, specialmente in occasione della festa medievale, quando, di notte, tutta l’illuminazione elettrica viene spenta nel paese, e si gira a lume di candela o di torcia tra le antiche mura.
Friesach
Friesach
Di Friesach ho già scritto in un mio precedente post dedicato al Quilt Fest del 2015. Mi va di sottolineare un particolare logistico: la distanza tra Udine e Malborghetto equivale a quella che intercorre tra Villach e Friesach, però in Austria ci sono più di venti treni al giorno che collegano quelle due località, mentre in Italia treni per Malborghetto non ce ne sono, e quei pochi che passano (quattro) fermano a Ugovizza. Meditate gente, meditate…
Altre bellezze però ci aspettavano alla mostra. Eccoci arrivati, finalmente.
No, forse non è qui, forse abbiamo sbagliato indirizzo… Ah, eccola qui la sede della mostra, lo splendido Palazzo Veneziano.
Immagine da: discoveralpigiulie.eu
Eccoci! (di nuovo…) Diciamo che il tutto si presenta bene, molto bene. Generose le dimensioni delle opere esposte, più che vividi i colori che si offrono agli occhi, e una bella luce che piove dalle finestre di questo antico edificio, ecco gli ingredienti giusti per gustare una galleria di opere patchwork.
Comunque le piccole opere in legno di Vittorio Paludetti, l’estroverso personaggio che un bel dì fu contagiato dalla creatività di sua moglie Germana quando lei diede vita al Valbruna Patchwork Club (ciao Germana, ovunque ora tu sia), ci ricordano che siamo in una piccola valle, una località di orizzonti costretti da boschi e monti, coi quali bisogna venire a patti per assaporare le piccole, ma non per questo meno importanti, gioie della vita.
Eccovi allora un filmato dove sono stati raccolti alcuni dei quilt che secondo me, sempre secondo me, sono stati i più rappresentativi della mostra, ricordandovi che altri li trovate sul mio album Flickr. Chi non ha molta dimestichezza con internet sappia che il filmato è presentato nel blog in risoluzione standard per garantirne la visualizzazione mediante dispositivi anche piccoli o superati. Chi possiede un bel computer moderno e una connessione più veloce della mia (più lente della mia sono solamente le connessioni mediante segnali di fumo e tam-tam) può cliccare in basso a destra sul simbolo della ruota dentata (Impostazioni), e da lì scegliere la risoluzione massima in HD, e magari anche guardare il filmato a tutto schermo.
Che dite, ci vediamo a Malborghetto il prossimo anno?
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