C’è un fil rouge che percorre in lungo e in largo questo articolo, un filo che, contrariamente a quello di Arianna, non conduce a un’uscita sicura, anzi, nelle mie intenzioni dovrebbe indurre in tentazione, quella di smarrirsi in un labirinto di forme e colori per riuscire a sollevare lo spirito dalle logore geometrie quotidiane.
Questo è un filo a due capi; il primo dice: “piccolo è bello”; il secondo gli fa eco: “piccolo e bello”.
Infiniti sono i casi in cui avrete udito una delle due espressioni, ma vi posso assicurare che in occasione di questa escursione in terra d’Austria è stato possibile sposarle felicemente.
Andiamo con ordine (sparso).
Salisburgo è una piccola città, meno di 150.000 abitanti periferia compresa, il centro storico avvolto sulle verdi sponde del Salzach, palazzi barocchi che che si contendono il poco spazio tra l’acqua e la roccia di fratte alture, un fiume che è stato strada verso il mondo, e rupi che hanno l’hanno difesa contro di esso.
Salisburgo è piccola, sì, ma è anche straordinariamente bella.
A questo punto c’è chi si domanderà se è nato prima l’uovo o la gallina, ovvero se Salisburgo è particolarmente gradevole perché è piccola, oppure se è bella a prescindere, e le sue dimensioni “umane” non fanno che ribadire la piacevolezza di trascorrerci del tempo.
Vi rispondo con la stessa frase di Clark Gable nel film “Via col vento”: francamente me ne infischio. Quando ho la fortuna di incontrare l’armonia e la bellezza, in qualsiasi forma esse si presentino, cedo a loro senza farmi domande inutili. L’unica resistenza la pone la mia limitata capacità di comprensione artistica, eterna gramigna nata da studi incompleti e difficile da estirpare in un paese che non fa della cultura la sua prima ricchezza.
Prendete allora la cima di questo fil rouge e iniziate insieme a me un percorso che, partendo dalla storia secolare di questa città, ci porterà fino a dei piccoli (e belli) capolavori di stoffa appena creati.
(Cliccare sulle immagini per vederle in formato grande in Flickr)
Ecco allora Salisburgo by night, uno spettacolo per gli occhi.
E questa invece è sempre Salisburgo, però by day.
Dunque… by night, …
… oppure by day.
Voi come la preferite?
Questa è la piccola (e bella) pensioncina dove ho pernottato, posizione perfetta, a una decina di minuti dalla stazione ferroviaria, e vicinissima alla fermata del filobus (sì, esistono ancora) diretto alla sede della mostra.
Poteva bastare? No, no poteva. Impossibile sbagliarsi, certi segnali sono inequivocabili, almeno per me. Ho atteso il momento propizio e poi ho deciso verificare le mie supposizioni. Centro pieno.
A Salisburgo ci saranno più di cento alberghi, decine di migliaia di posti letto, eppure doveva capitarmi di incontrare in quella piccola pensione alcune appassionate di patchwork provenienti dalla Repubblica Ceca. Le probabilità erano minime, eppure, quando il destino ci mette lo zampino… Diciamo che l’ho preso come un buon segno, e il prosieguo della giornata non mi ha smentito affatto.
Dato che il tempo era splendido, invece che utilizzare il filobus, ho preferito recarmi alla mostra a piedi, una passeggiata di un’oretta e qualcosa attraverso le anguste stradine della città vecchia.
Uhm, vecchia veramente questa casa. Se leggo bene la targa sopra questa porta… MDCXXXIV… doveva essere il 1614. Chissà come saranno le nostre case tra quattrocento anni.
Salisburgo non è solo fatta solamente di palazzi storici e chiese barocche. Basta girare l’angolo per trovarsi a percorrere viuzze molto caratteristiche, …
… oppure incontrare strani connubi tra natura e architettura.
Salisburgo, la vecchia Salisburgo, è così, dietro l’ultima casa della città inizia immediatamente il bosco. Ecco, per esempio, qualcosa che appare come uno sperduto maniero nel fondo di un’inaccessibile foresta, mentre è in realtà un palazzo (un monastero?) a 5 minuti dal centro.
Queste e altre cose ho visto durante quella scarpinata tra la pensione e la sede della mostra, e posso dire che quel fil rouge di cui ho parlato all’inizio, si dimostrava man mano sempre più tenace e avvolgente. Vero è che per gironzolare a piedi in una città quasi sconosciuta ci vuole un briciolo di follia, ma comunque, magari dopo qualche deviazione di troppo, alla fine si è giunti alla meta. Quilt Fest 2013.
Entriamo.
La prima sensazione è una specie di deja vu, mi ricorda una delle prime edizioni del Patchwork Meeting di Praga, in una scuola, con l’esposizione nella palestra e gli spazi commerciali nelle aule. Qui invece siamo in un albergo, ma gli spazi sono pressoché identici, come pure il tipico entusiamo di chi fa queste cose per passione e non per professione.
Ecco, tanto per darvi un’idea, le immagini di alcuni lavori esposti, quelli, per intenderci, di dimensioni “normali”, e non ho aggiunto questa precisazione per caso.
Si passa da un lavoro estremamente vistoso (ma non pacchiano) di Barbara Biondi, la quale indubbiamente ama il rosso, e ci si è tuffata a capofitto…
… a un’opera dal soggetto abbastanza inusuale di Edda Katz. Ogni maialino è stato realizzato con una tecnica diversa, ottenendo così una specie di piccolo sampler anticonformista, piccolo e bello, ça va sans dire.
Ecco un lavoro quasi “classico”, un tappeto fiorito di Christine Kersch. Mi arrischio a supporre che la difficoltà maggiore sia stata la scelta di colori e la loro sistemazione per evitare che ne emerga uno dominante in grado di “uccidere” il blu di fondo.
In mostra i lavori del concorso organizzato dalla “Asociación Europea del edredón” (EQA).
Il tema di quest’anno è intitolato “Movement“, e ogni associazione europea partecipa con due esagoni (12 triangoli) di un predeterminato colore.
Particolarmente riusciti per fattura ed effetto, secondo me, questo esagono inglese …
… e questo esagono spagnolo.
I triangolini degli esagoni mi offrono l’occasione per cambiare registro, riprendere in mano il fil rouge per mostrare le opere che, in perfetta sintonia con la città, concentrano la loro bellezza in spazi angusti.
Avrete già intuito che si tratta dei miniquilt, quei piccoli capolavori che in ogni esposizione non mancano mai di suscitare ammirazione e stupore.
Tanto per restare in tema, ecco un piccolo esagono nel quale Dani Samec ha infilato tutti i colori possibili della lantana camara, una pianta ornamentale originaria del Sudamerica. Mi chiedo se non ci sia qualcosa di freudiano nella scelta di questo particolare fiore. Mi risulta infatti che la lantana sia tuttora inserita nell’elenco delle cento specie più invasive al mondo, una specie aliena, piacevole alla vista per i suoi colori, alla quale basta un niente per diffondersi e conquistare irreversibilmente l’ambiente con il quale viene a contatto. Non so perché, ma mi ricorda il patchwork…
Elisabeth Skala ha realizzato un miniquilt che, indovinatissimo, risulta perfettamente in sintonia con questa giornata. Per essere in autunno lo siamo, però c’è un sole che accende i colori e scalda il cuore.
L’ananas (pineapple) è un blocco classico del patchwork, però per realizzarne di così piccoli, come questi di Anna Maria Ebetsberger, ci vuole una vista di almeno 20/10.
Per essere un miniquilt, questo “Papillon” di Gerlinde Gradnig è veramente un “gran” bel lavoro, originale nella tecnica e curato nella realizzazione (completamente manuale). Voto: 10.
Come dicevo, una piccola mostra per piccoli lavori, ma tanti piccoli lavori messi assieme fanno il loro effetto. Proprio questo devono aver pensato 35 quilter austriache quando hanno immaginato questo patchwork di patchwork, una serie di miniquilt, rigorosamente triangolari, rigorosamente rossi, liberamente realizzati a seconda dell’estro dell’artista. Chissà, forse hanno qualcosa a che fare con il concorso “Movement“, dato che il colore capitato in sorte all’Austria era proprio il rosso, comunque mi pare doveroso offrire il giusto risalto a ognuna di queste fantasie di stoffa. Così, oltre alla vista d’assieme, ho isolato ogni singolo miniquilt. Poi mi direte quale vi piace di più…
Dunque… ci sono i narcisi di Melanie Lengsfeld, …
… un mazzo di rose di Helene Truschner, …
… un bouquet di fiori per un compleanno, di Elisabeth Neumayr (il quilt, non il compleanno), …
… e i fiori più amati da Monika Spötti.
Non si vive di solo quilt. Questa originalissima lampada è bella sia spenta che accesa, il che, al giorno d’oggi, è già abbastanza raro.
Ormai l’avrete capito, il tema è “Il mio giardino”, e queste artiste in fatto di patchwork dimostrano di avere il pollice verde.
A riprova di ciò, ecco dei papaveri, essenziali nella rappresentazione, ma estremamente incisivi nell’effetto, sembra proprio che saltino fuori dalla stoffa. A quanto ho capito, si tratta di un lavoro a più mani: Quizon – Sally Riedl – M. & V. Pavelka.
Ormai questo fil rouge è diventato una ragnatela dalla quale è impossibile liberarsi.
Non basta ancora, c’è da vedere qualcosa di ancora più piccolo. Ecco cosa ti combinano queste autriache, un’esposizione di ditali decorati, in ceramica e in metallo. Ce ne saranno almeno duecento. Invidiabile.
Qualcosa mi dice che abbiamo finito. Sarà forse il flash che ormai ci mette una vita a ricaricarsi, oppure il segnale di batteria agli sgoccioli della macchina fotografica, e anche l’indicazione che la scheda di memoria è quasi piena. Guardacaso, anche i piedi mi fanno male e lo stomaco protesta perché da un po’ si sente trascurato. Sono tutti segnali abbastanza evidenti che io il mio dovere l’ho fatto, e che è arrivato il momento di sedersi a riflettere (magari con l’aiuto di un corroborante spuntino).
Non so se per mezzo di queste immagini ce l’ho fatta a darvi un’idea della mostra. Le impressioni sono sempre personali, e in special modo quando vengono valutati dei manufatti più o meno artistici.
Sussistono però dei dati di fatto che mi permetto di riportare.
Il primo è che ho notato (con viva e vibrante soddisfazione) l’esistenza in vita della quiltatura manuale. Sarà pure un lavoro lungo, sarà magari anche non essenziale alla riuscita artistica di un’opera, ma una bella quiltatura manuale a punto piccolo è indice di cura (amorevole, non maniacale) del dettaglio e di silenziosa opposizione alla fretta che la modernità imporrebbe.
Il secondo verte sul fatto che, come s’usa dire, le dimensioni non contano. Certo, una coperta a due piazze è un lavoro notevole, un grande arazzo da parete fa molta scena, però, a meno che non si possieda un castello con infinite camere da letto e altrettanto infinite pareti, anche il più riuscito di questi lavori passa gran parte del suo tempo chiuso in un armadio. Invece un quadretto elegante, ricercato, trova sempre un posto dove stare, dove fare la sua bella figura senza essere invasivo, e non ci si stufa mai di ammirarlo.
Terzo, non traspare nessuna boria, nessuna supponenza, nessuna superbia, solamente una soddisfazione più che giustificata (e meritata). In troppe occasioni mi è capitato di incrociare delle artiste dal gusto zoppicante ma dalla presunzione formato Zeppelin (il dirigibile, non il gruppo rock), personaggi gelosissimi delle loro modeste creazioni fino a vietarne anche una ripresa fotografica, convintissimi che il pubblico è venuto alla mostra solamente per copiare le loro opere. Pur essendo più che evidenti le inevitabili differenze di bravura, qui non si notano caste e titoli, niente classifiche del tipo “Top Ten” o altre definizioni autoreferenziali. Certo, Salisburgo non è la Val d’Argent, ma qui almeno i soggetti sono il frutto di un gusto semplice, personale, e non fanno il verso a stili pittorici che hanno visto i loro tempi migliori più di mezzo secolo fa.
Lo so, lo so, a volte sono veramente insopportabile, ma certe cose vanno dette, anche a costo di provocare qualche salutare disillusione.
Basta, mi fermo qui, anzi no, devo tornare indietro, a casa, per scrivere questo post.
Il tempo si mantiene ostinatamente bello, e allora, già che ci sono, scatto ancora qualche fotografia. I colori del tardo pomeriggio sono caldi e scacciano un po’ la malinconia di dover lasciare questa “piccola e bella” città.
In fondo, se ripenso alle mie escursioni in giro per l’Europa, questa a Salisburgo è poco più di una gita, è un viaggio piccolo e bello, ed è bello perché è piccolo, senza bagaglio al seguito, e perciò anche rilassante (grazie alle ferrovie austriache, s’intende).
Vi lascio con queste due immagini di Salisburgo, mentre ‘sto maledetto fil rouge ormai mi si è avvolto attorno tante di quelle volte che è diventato un maglione. Mi terrà al caldo nelle giornate uggiose, ricordandomi che la bellezza esiste, basta saperla cercare, anche nelle piccole cose.
Ciao.
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