There are those who have what it takes and there are those who have what it takes.
I'm talking about the inhabitants of Vico Pancellorum, just over a hundred resilient people who populate a small village in Lucca, more precisely in the Lima Valley.
I defined them as "resilient" because they hold up despite the fact that the town is more than 15km from what we consider indispensable aspects of a fairly urbanized society (negozi, services, offices, leisure points, ecc.). For good measure they are forced to travel along treacherous and uncomfortable roads, overcoming a height difference of 450m, a journey in which there is no shortage of hairpin bends and overhangs, plus crossing paths with some crazy people (and they are not few) which proceeds at “sports” speed.
I probably wouldn't have known anything about this remote village if it hadn't been for my photographer's proverbial tendency to chat / sherpa / driver / webmaster / ecc. , who met the right person by chance. The fact is that we were in Benabbio, near Bagni di Lucca, for the awards ceremony for the finalists of a literary competition dedicated to the train, and the one who always accompanies me on my travels was among those with one of his poems, and if you want to read it you can find it qui.
Having some time available (you will have already understood that we love to take it easy), they were in our forecasts of short-range movements in the surrounding area, but the technological situation in loco it was despairing, nel senso che internet it was completely absent (and sometimes even the simple telephone signal), therefore there was no way to search online to find useful information on possible interesting places to visit, and then there's no sign of guides and tourist offices.
From what we understand, There are children and stepchildren, both at a regional and provincial level, e, except for the usual most famous locations (and crowded), the indications for smaller towns are somewhat incomplete, leaving the burden of discovery to the traveller's curiosity.
So you're probably wondering what the hell my companion's uncontainable talkativeness has to do with anything. It's easy to say.
Already last year I concluded that he could easily have taken Tuscan citizenship, as he had no difficulty dealing with the locals, i quali notoriamente amano lanciarsi in elaborate e colorite conversazioni anche su argomenti minimi. For my photographer / sherpa / driver / webmaster / ecc. it was a wedding invitation, and I have no memory of a day in Tuscany during which I didn't converse with someone, sometimes so long that it made me feel slightly nauseous.
This year the music hasn't changed, and even in that village which had less than three hundred souls he immediately found interlocutors willing to exchange four (four thousand in truth) Chatter. La fortuna ha voluto che tra le sue “vittime” ci fosse una persona che conosceva molto bene quei luoghi, by virtue of decades of experience driving a waste collection vehicle. Here we must thank Stefano once again, who provided us with the right tips to reach places that are generally little known but very interesting, and we have taken advantage of his suggestions to be amazed by singular and evocative shows.
Among these there is the village of Vico Pancellorum, of which you will find online news on the Parish Church of San Paolo dating back to the 9th century, and little else. Indubbiamente si tratta di un edificio storico interessante, but we were there for very different reasons. Si dà il caso che in Val di Lima, Vico Pancellorum goda della fama di essere un paese di artisti, badate bene, I'm not talking about people who have obtained degrees in the artistic field, bensì di appassionati che amano manifestare un certo estro creativo in modalità molto naïve. The fact that their works sometimes arise from a process of recovery and recycling of unlikely elements makes them even more interesting, e per quel che mi riguarda anche vicine al patchwork.
La decisione di visitare Vico è stata doppiamente felice, giacché in quel favorevolissimo ambiente hanno pensato bene di organizzare una manifestazione en plein air aperta anche ad artisti che vengono “da fuori” intitolata “che sagome!”, visitabile dal 6 Luglio al 7 Settembre.
Potevo forse io rinunciare a riportarvi una testimonianza di quanto ho avuto la fortuna di ammirare? Ovviamente no.
Lasciatemi iniziare con una piccola opera che però la dice lunga sullo spirito ironico e anticonformista degli artisti di Vico Pancellorum
Non si pensì però che oltre all’ispirazione genuina manchi una certa dedizione all’arte più “colta”. Ne è testimone l’opera sottostante, la quale interpreta alla sua maniera un tema caro a uno dei più grandi artisti e designer italiani del ‘900, Bruno Munari.
Va da sè che l’idea riprende la tendenza attuale di rivisitare in maniera destrutturata un assieme di elementi collegati da una visione finora omogenea, come fanno per esempio alcuni grandi chef e pasticcieri che propongono dei piatti tradizionali ma “scomposti”.
Nonostante l’apparente stato decadente di alcuni edifici del paese, Gudrun Schmidt trova comunque che Vico trasmetta delle sensazioni di pace e di abbondanza, e cerca di rappresentarle simbolicamente con un albero dai colori sgargianti nel quale trovano posto persone, animali, piante, esperienze e sogni, tutti elementi che rendono più ricca la vita.
Lo so, è una semplice porta che sembra quasi appoggiata provvisoriamente accanto all’apertura di una chiesetta rustica, poco più di un’edicola.
Lo so, magari vi verrà in mente lo sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo di fronte a un’ipotetica opera di Jean Folon, il maestro del coinvolgismo.
Lo so, se non fosse per quel colore intenso passerebbe praticamente inosservata, un elemento in attesa di trovare una collocazione o appena rimosso dalla sua sede e funzione.
E invece no.
Nelle intenzioni dell’artista, attraverso la piccola finestrella si sarebbe dovuto ammirare uno scorcio del paesaggio circostante, segno del fatto che di quanto ci circonda poco sappiamo e ancor meno comprendiamo, ma il caso c’ha messo lo zampino. Ora l’apertura dà sulla nuda pietra, but here comes a young twig, a message of hope and desirable coexistence between nature and the so-called “civiltà”.
Walking through the steep streets of Vico we encountered an exhibition wall of ceramics that refer to the songs of Fabrizio de Andrè. Here are a couple of them.
And while we're talking about music, here is another example of the sparkling spirit that finds expression in this ancient village, quasi a voler esorcizzare con l’ironia il passare degli anni e della storia.
Ovviamente quella rock band does not exist, ma di certo in quelle caricature gli abitanti sapranno riconoscere qualche volto paesano.
All’ingresso del borgo alto incrociamo questa figura imponente, e pure un tantino preoccupante. Come già in età antica si usavano porre alle porte dell’abitato delle grandi figure mitologiche in grado di ammonire gli eventuali malintenzionati di passaggio, thus Vico protects himself from everything that could harm him by scaring the “male” through this metaphysical figure made with willow branches.
I don't know about you, but it seems to me that it is just waiting to come to life when night falls.
We go from an imaginary threat to a very real one, or at least it used to be. I'm talking about small birds that have always found a convenient source of subsistence in cultivated fields. There are those who raid seeds, mentre altri invece attendono pazientemente la maturazione di frutta e ortaggi. Colombi, storni, merli, corvi, gazze, fagiani, cardellini, parrocchetti, cornacchie, e ovviamente i passeri, sono meno appariscenti di cinghiali e caprioli, ma la loro potenza è nel numero.
Dato che temono l’uomo, si pensò bene di realizzare delle figure che ne imitassero la forma, gli spaventapasseri appunto, e da sempre costituiscono un riconoscibilissimo simbolo della vita in campagna.
Quest’opera non intende spaventare nessun uccellino, bensì preoccupare chi l’osserva in virtù di una bidimensionalità quasi inverosimile che richiama le immagini altrettanto piatte con le quali interagiamo mediante gli onnipresenti monitor.
Di Giorgio Moiso, famoso pittore e ceramista ligure, ecco un’opera lunga ben due metri che fa bella mostra di sè a Vico Pancellorum.
Magari per le ragazze era diverso, ma per i ragazzi della mia generazione la parola “indiano” corrispondeva sempre a una figura seminuda, bruta, con una o più penne fermate sui capelli (lunghi), che cavalvava nella prateria lanciando frecce contro una carovana di pionieri o uno squadrone di cavalleria.
Ci sono voluti decenni per demolire quell’immagine stereotipata, per accettare il fatto che erano i “buoni” a rubare i loro territori, e che i “nostri” erano solamente il braccio armato dei coloni.
Oggi quella necessaria riscrittura storica e antropologica non serve più, in quanto per i nostri giovani un indiano può essere semplicemente un vicino di casa, un collega di lavoro, un compagno di classe, una figura usuale seppur con la sua identità culturale che si rifà a una civiltà millenaria e suggestiva.
Claudio Stefanini è voluto tornare bambino, quando per le stradine del paese ci si rincorreva giocando a indiani e cauboi.
Ecco l’opera che più si avvicina al mio spirito e alle mie tecniche.
Si tratta di un patchwork realizzato mediante il riutilizzo di materiali diversi, e, Incidentally, tra le stoffe ne ho riconosciuta una che anch’io tengo in laboratorio, una delle tante che nemmeno mi ricordo dove e come ho recuperato.
Questa immagine rappresenta l’afflizione della madre Terra, sfruttata da figli ingrati e litigiosi, malconsiderata in quanto inelegante, promiscua, goffa, quando invece ogni pezza, ogni toppa, ogni trama, ogni colore è sorprendente ricchezza, ogni diversità è occasione di confronto ed evoluzione, e la goffaggine è semplicemente il modo più sincero e immediato mediante il quale la natura racconta le sue storie, con parole che tutti possono comprendere.
Ella tiene tra le mani una sfera di cristallo, nella quale però non è visibile il nostro futuro. Questo andrà scritto da noi giorno per giorno, con una calligrafia femminile ricca di rotondità e volute, e di tale futuro riempiremo quella sfera.
L’immagine sottostante ci racconta due cose, la prima è che a Vico Pancellorum è quasi impossibile trovare una via che non sia in salita, e pure erta, la seconda è che la bellezza di un’opera dipende anche dalla sua collocazione, e in questo caso è perfetta.
Tra i pescatori di Livorno e Viareggio s’usa ancora l’espressione “teste e lische” per dire che di quanto si desidera non c’è rimasto nulla. A tal riguardo il mio photographer / sherpa / driver / webmaster / ecc. dissente. Egli afferma, a ragion veduta, che con le teste crude si ottiene un ottimo fumetto, ma anche nel caso di cottura al forno e simili, la testa è la parte più gustosa del pesce, e più di tutti lo è l’occhio, e se lo dice lui che è uno specialista ci possiamo ben fidare…
Con queste poche immagini penso di aver reso abbastanza bene l’idea di quale atmosfera artistica si respirasse a Vico, e se ancora non vi basta vi rimanderei alla mia galleria su Flickr per le altre foto che abbiamo scattato lì.
Le singolarità però non erano finite, in quanto in quel borgo si parla ancora una lingua unica nel suo genere, che del toscano richiama solo la sonorità.
Si tratta dell’arivaresco, una parlata tipica degli stagnini, chiamati “arivari”, che partendo da Vico prestavano la loro opera in tutta la Toscana e le regioni limitrofe. Le malelingue affermano che non tutti gli arivari lavoravano onestamente, e che qualcuno usava rattoppare le grondaie con la cera, confidando sul fatto che, scoperto l’imbroglio, loro sarebbero stati già lontani. For this reason, a language incomprehensible to customers was useful, and constituted a sort of secret code for transmitting interesting information about possibilities “chickens”.
In the video I inserted below you can listen to a significant example of that speech, and let's see if you can understand it.