Qualcosa è cambiato.
Lo si avverte subito, appena arrivati: finalmente sono disponibili le spille di Prague Patchwork. Ne compro immediatamente una, andrà a far compagnia alle altre, tutte quelle che ho appuntato sulla mia borsetta, piccole medaglie che mi concedo per la mia perseveranza.
Sarà forse per l’aspettativa, sarà per l’eccitazione del momento, o magari per il solo fatto di trovarmi così lontana da casa e così vicina a tante persone che condividono la mia stessa passione, ma il mio animo è impaziente, irrequieto, come se fosse la prima esposizione che mi capita di visitare. Finalmente si entra…
Da qualche anno, parte della mostra viene allestita in un grande capannone gonfiabile, molto luminoso, con un unico difetto: la temperatura tropicale dell’aria al suo interno.
Se vi capitasse di andare a visitare la prossima esposizione (cosa che vi consiglio di fare), vi raccomando di vestirvi a strati, a meno che non preferiate gustarvi una bella sauna fuori programma.
I lavori esposti quest’anno appaiono come il frutto di una ricerca stilistica indigena, originale, estrosa. Potrei aggiungere anche sofferta, in quanto non tutte le opere colgono nel segno, ma, come si dice, chi non risica non rosica.
Non mancano quelli che nel jazz vengono definiti gli “standard”, i blocchi e i motivi tradizionali, sempre soggetto di nuove elaborazioni e variazioni sul tema.
Un efficace esempio sono le diverse composizioni cromatiche dello stesso blocco, il “Mystery”, un motivo noto anche col nome di “Summer Winds”, in unione con una variazione dell’altrettanto famoso “Friendship Star”. Ecco alcuni esempi…
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Iva Spurna Mirka Kimlova Jana Sterbova
Il diverso impatto visivo dei diversi schemi di colori sono la dimostrazione di come la creatività possa sbizzarrirsi liberamente anche confinata all’interno di una inflessibile geometria.
Mi stacco con difficoltà da quei lavori meravigliosi, solamente per essere catturata dalle malie di un angolo che spicca per originalità. Si tratta della zona riservata alle quilter del gruppo “Quilt Art” che vanta già venticinque anni di proficua attività.
Per tutto questo tempo le artiste di Quilt Art sono state il battistrada nella ricerca di nuove forme espressive, un’attività tesa a dimostrare che il patchwork non va limitato negli angusti confini dell’artigianato e del lavoro femminile, bensì può volare alto, arte tessile che offre possibilità illimitate.
Anche stavolta è una sbirciata sul futuro, senza la pretesa di comprendere appieno, ma con la curiosità di scoprire orizzonti nuovi e con l’ammirazione per chi sa coniugare sperimentazione coraggiosa e fattura ricercata. Non ci sono blocchi, schemi e facili tranelli estetici, eppure non riesco a fare a meno di essere irretita da questi lavori dove dominano solamente i cromatismi oppure, per contrasto, l’assenza di essi. Vanno osservati con pazienza e disponibilità; è necessario aprirsi all’inatteso, all’inconsueto, con lo stesso sguardo che si dedica per ammirare i quadri di Kandisky o di Pollock (tanto per fare dei nomi).
Dicevo dei colori. Il rosso e l’arancione, colori caldi, sono sempre molto amati, anche perché, suppongo, il clima non propriamente mite di queste terre porta a bramare il conforto del calore, percepito e rappresentato. Quest’anno invece vedo che spuntano sempre più numerosi i verdi, i blu, i grigi, colori difficili, poco appariscenti, ma non per questo meno belli.
Noto con piacere che non si sono cercati dei comodi accostamenti di nuances, o dei soffici pastelli.
Secondo il mio modo di vedere, l’artista non deve mirare a tutti i costi di piacere al pubblico, bensì deve cercare di esprimere qualcosa di personale, di genuino; sta poi all’osservatore “ascoltare” ciò che l’autore suggerisce, magari in una lingua ancora ignota, criptica, astrusa. Non mi si prenda per sofistica, la mia preparazione culturale e artistica è rasoterra, ma di una cosa sono certa: una vera opera d’arte non può essere mai immediatamente compresa appieno, essa deve porre dei punti di domanda all’osservatore, lasciare spazio alla riflessione, all’incertezza, al mistero. Una creazione artistica è sempre un lavoro di coppia, da una parte la mano che la crea e dall’altra l’occhio che la guarda.
E’ ovvio, non tutte le opere sono allo stesso livello, come sempre del resto. L’abilità va coltivata, e l’estro artistico non ci è stato donato nella stessa quantità, ma se si deve sbagliare tanto vale sbagliare in proprio, divertendosi nel creare qualcosa di personale.
Ciò che vedo è comunque degno di nota, apprezzabile, sorprendente, a tratti pure spassoso, come appunto la casa della quilter…
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… oppure come questi cagnolini abbacchiati perché costretti in casa dalla pioggia battente.
I ragni mi fanno un pò paura (e penso di essere in buona compagnia), però va loro riconosciuto il primato di essere stati i primi tessitori esistenti sulla terra, e che per loro i fili non hanno segreti. Mi fermo a riflettere davanti a questo lavoro e trovo che sia un giusto riconoscimento alla loro abilità tessile.
Se ci sono i ragni, potevano forse mancare le farfalle? Ovviamente no…
Ormai ogni mio proposito di visitare la mostra con un certo ordine è andato a farsi benedire. Vago senza meta, attratta di volta in volta da un colore, un disegno, un effetto, da opere che non mancano mai di lasciare un segno nella mia immaginazione. A volte è per la loro ricerca cromatica, altre per la loro (solo apparente) semplicità…
… oppure, al contrario, per l’estrema cura del dettaglio, per la pazienza infinita e l’impegno profuso….
… altre ancora perchè sono belle punto e basta, degli affascinanti capolavori pittorici.
… a una pasticceria molto, molto speciale.
Davanti a una tazzina di caffè (espresso, short, please, short) mi fermo a riflettere , cercando di mettere un po’ d’ordine nel guazzabuglio di immagini che mi affollano la mente.
Ne è valsa la pena? Ne è valsa la pena.
Questo post è per chi non ha avuto la fortuna di esserci, perché non esistono soltanto Birmingham, l’Olanda e la Val d’Argent.
Io a Praga ci sono già stata, ci ritornerò, e spero, la prossima volta, di incontrare lì anche voi.
Girando per la mostra è stato un po’ come passeggiare per Praga, una città meravigliosa dove si accostano, non sempre in armonia, gli stili più diversi: romanico, gotico, rinascimentale, barocco, rococò, impero, neogotico, art noveau, cubismo, un insieme variegato difficilmente riscontrabile altrove. La magia che sortisce dalla contemplazione di queste culture sovrapposte, testimoni attendibili di un equilibrio difficile, di un’esistenza complicata, spesso sfugge al turista distratto e sommario, solitamente attratto da panorami solenni, come pure dagli obbligati, e affollati, itinerari classici.
Vale lo stesso per il patchwork praghese, un percorso suggestivo, magari un po’ accidentato, dove ci si perde volentieri, si rinuncia a cercare un indirizzo, un punto di riferimento, qualcosa di conosciuto, alla scoperta di un’espressione schietta e autentica che regali piacevoli scorci dove soffermarsi e ristorare lo sguardo, rinfrancare lo spirito, smarrendo per un breve attimo le proprie convinzioni, anche trascurando talvolta i limiti di ciò che ci viene offerto e, per simpatia, comprendendo ed accettando i nostri.
Nota: le foto con l’asterisco * sono state gentilmente concesse dall’associazione Prague Patchwork Meeting (riproduzione riservata). Tutte le foto della mostra 2011 sono presenti in un Compact Disc realizzato da Prague Patchwork Meeting, da richiedere eventualmente all’indirizzo info@praguepatchworkmeeting.com.