Rimango sempre sorpresa quando mi salta in mente una parola che nulla ha a che fare con la situazione nella quale mi trovo e che è la sintesi perfetta della situazione nella quale mi trovo. Das Wort in Frage "Sonnenblumen", che poi sarebbe anche il titolo di questo post.
Wie es bereits bekannt,, Ich genieße die personalisierten Dienste von einem kleinen Reisebüro, so klein, dass, wenn ich mit mir reisen. Ebbene, in dieser Nacht war er da, Ich und meine Agentur, a gustarci una Edelweiss placidamente seduti al tavolino di una brasserie Elsässer, quando, verräterisch, hier kommt man, dass der Suche nach: denn wir sind uns beide hier?
bereits, warum wir hier sind in diesem hübschen kleinen Platz, wenige Leute, jedoch sehr diskret, mit einem Vollmond wie eine Silbermünze, die beobachtet werden soll,, mit uns, die Fachwerkfassaden und Dachschrägen durch gedämpftes Licht jetzt beleuchtete Fliesen grün, jetzt hochrot, jetzt türkis, jetzt Orange, e, wie fast immer passiert,, wir sind immer in zwei?
ich gebe zu, viaggiare di notte in treno condividendo lo scompartimento con degli emeriti sconosciuti potrebbe destare qualche preoccupazione, Aber das Mikrokosmos Kontingent und völlig zufällig, dass der Zug hat den Charme, und er geht mir ihm die gleichen Worte, die William Butler Yeats verwendet, um Nähen einen besonderen Aspekt seines Irland zu beschreiben: “Hier gibt es keine Fremden, nur Freunde getroffen haben Sie noch nicht”.
Ich kann verstehen, dass mit Zeiten zu tun haben, Veränderung, Zufälle und Umladungen, vielleicht nach den Anweisungen einer Sprache gekaut sogar, dass folgen Logik und Auslegungsregeln fremd unsere eigenen Geräte, Sie paventino Katastrophe, psychologischen und logistischen Verlust, die Missverständnisse, e tutta una serie di peripezie degne di un attualizzato remake dell’Odissea.
E che dire dei lunghi trasferimenti in pullman di linea? Stunden angekettet an einem nicht immer bequemen Sitz, wunde Knie und Knöchel als Michelin-Männchen, la testa che s’è stufata di stare sul collo e ciondola di qua e di là, paesaggio autostradale di giorno, paesaggio niente di notte, la mente fissata su un unico pensiero: quanto manca alla prossima sosta.
Il nostro viaggiare è denso, denso di ore e ore spese per spostarsi con relativa lentezza (e perciò spese bene), denso di pazienti attese, denso di esperienze minime, denso di probabilità, denso di dubbi, talmente denso che impegna tutta la nostra immaginazione; ogni resistenza è inutile e veniamo inesorabilmente assimilati (die aficionade di Star Trek capiranno…), diventando noi stessi il viaggio.
Molto più rilassante il viaggio organizzato nel quale ti prendono, ti portano e ti lasciano lì dove devi arrivare, un hotel, una mostra, un monumento, un ristorante, e infine a casa.
Molto più libero il viaggio in automobile nel quale si va dove ti va, quando ti va, come ti va; niente orari, niente attese, niente limitazioni di percorso, e finché ci sono carburante e asfalto a sufficienza, non c’è santo che tenga, l’automobile è un passepartout inarrestabile.
Molto più rapido il viaggio in aereo, così asettico e di classe (anche in classe turistica), giusto la fila al check-in e il sopportabile fastidio dei controlli di sicurezza per accedere al patinato lido del duty-free, il Paese delle Meraviglie dove tutto costa il doppio, ma è tax free, e poi ci sono i gate, die hub, l’internet point, l’help desk, il fast track, la nursery, il totem, che anche se si deve andare solamente dietro l’angolo pare già di essere arrivati in America.
Ma la mia agenzia di viaggi lo sa, le cose troppo facili non fanno per me; il traguardo mi piace sudarmelo per vincere la mia intima battaglia contro la pigrizia, l’indecisione, la sfiducia, l’imbarazzo, perciò nemmeno stavolta si è lasciata sfuggire l’occasione di propormi un trasferimento durato un giorno intero, alla mia maniera s’intende, quella dove giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose… (N.M.).
Tutte queste riflessioni le dovevo alla soddisfazione di essere, ancora una volta, giunta alla meta, e le dovevo anche anche alla generosa dose di bière blanche che ci eravamo concessi quella sera, in quel cantuccio nascosto di Alsazia.
In buona sostanza, per quanto attraente e gradevole possa essere la destinazione del viaggio, il nostro stile, o per meglio dire, la mancanza di stile di viaggio appare irragionevole, spossante, persino imprudente, perciò io e la mia agenzia di viaggio siamo e sempre saremo “i gira soli”. È destino.
Sehen ist Glauben, e quindi ecco un breve filmato che dà l’idea del mio viaggio-tipo quando mi muovo all’estero per mostre.
Se avete dato una scorsa al filmato qui sopra, avrete già capito che in Alsazia ci sono andata per il Carrefour Européen du Patchwork, Deshalb würde ich auch beginnt jetzt zu sagen, was ich sah,, Was mir gefallen, und die Eindrücke, die ich habe gewonnen.
Quest’anno è stata la volta delle rinunce.
Per le fotografie abbiamo rinunciato all’armamentario “pesante”, preferendo un più agevole equipaggiamento “turistico”, e tutto sommato la qualità delle immagini non ne ha sofferto troppo.
Abbiamo in più di qualche occasione dovuto rinunciare all’uso del flash; in ambienti poco illuminati o nel caso di punti di luce troppo vicini alle opere ciò è stato alquanto penalizzante.
Ci siamo permessi di rinunciare alla dedizione assoluta, preferendo talvolta una bella gita al patchwork, ma non me ne sono assolutamente pentita.
Un felice scelta strategica è stata quella di rinunciare alla prima colazione in albergo, partendo per la Val d’Argent di buon mattino, col bus semivuoto e con le pasticcerie del paese che sembrava aspettassero solo noi per farci godere dei piaceri di un buon cafè au lait accompagnato da una generosa fetta di gâteau aux mirabelles.
Basta, prima di attirarmi le maledizioni di chi non c’era e vorrebbe sapere qualcosa di più delle mostre, sarebbe il caso faccia il mio dovere; ho solamente, come sempre, l’imbarazzo della scelta, e non si pensi che sia cosa da poco.
Leggendo qualche mio articolo precedente si sarà notato che ho espresso in più di qualche occasione alcune riserve circa le strade che ha intrapreso il patchwork in Italia, sempre che le abbia intraprese, però posso dire con piacere che la mostra dedicata al ventennale di QuiltItalia faceva la sua figura.
Io c’ho provato, ho guardato filmati, ho anche comprato dei libri, ma non c’è stato niente da fare, i paesaggi vanno oltre le mie capacità, ragion per cui mi emoziono (e provo invidia) quando ho l’occasione di ammirare tali opere.
Come ci ha insegnato Woody Allen, New York non è una città, è un mondo a sé, sfugge a ogni etichetta antropologica e viene vissuta in modi sempre diversi da chi ci è nato o vi si avventura, talvolta bene, come nel caso di Isaac Davis (Woody Allen) in “Manhattan”, oppure malissimo, come capita a George Kellerman (Jack Lemmon) in “Un provinciale a New York”. Ciò che vediamo nel quilt di Maria Luisa Comand è un vero e proprio paesaggio, affascinante o inquietante, comunque unico.
Esistono opere di notevole complessità esecutiva, lavori composti da una miriade di tessere assemblate con precisione che non esito a definire maniacale, patchwork di grande impatto di fronte ai quali ci si sente delle incapaci totali, eppure in tali sfoggi di bravura non trovo la stessa bellezza di un’opera composta da elementi semplici, quasi elementari.
Oltremare non è unicamente una delle sfumature presenti in questo patchwork, è anche quel che si potrebbe osservare oltre il mare, attraverso esso, e da esso (o lei nel caso della quilter) virato nella struttura e nel colore. Dalla scelta delle forme e della quiltatura si palesano l’abilità e, soprattutto, la passione artistica.
La natura, in tutte le sue forme, è la materia prima che quasi ogni artista predilige. Sarà poi la predisposizione, lo stato d’animo, l’impellenza espressiva e l’abilità esecutiva a elevarla allo stato di opera d’arte (se già non lo è del suo).
Le foglie sono un po’ überall, nei giardini, nei boschi, negli orti, negli appartamenti, e per questo motivo talvolta si perdono in un ingiusto anonimato. Invece queste compagne di viaggio si mostrano in talmente tante forme da colmare la fantasia di ogni artista, e in questo uggioso pomeriggio autunnale i colori di Caudia Belluzzi mi si rivelano particolarmente vicini, il che, suppongo, era proprio quello che lei desiderava.
gut, è ora di fare un piccolo break, piccolo si fa per dire poiché il Quiltatelier Vlijtig Liesje da Tienhoven ha messo in moto più di 150 Quilter dieses Original zu bilden patchwork.
Ho sempre sospettato che il patchwork sia una sorta di virus, e questa qua sopra è di sicuro una delle manifestazioni più acute della malattia.
Già che parliamo di automobili, ecco una composizione di Dirkje Van Der Horst-Beetsma, presente nell’esposizione di Quilt Art.
Irgendwo fand er einen LKW, der Škoda definieren “rottame” è eufemistico. Eppure come il relitto di una nave affondata offre ai sub una visione radicalmente diversa da quando quello stesso scafo navigava, così i resti rugginosi di quella macchina costituiscono un messaggio temporale interessante.
Vi va una partita a scacchi? Ah, dimenticavo, non so giocare a scacchi, e per la verità non saprei nemmeno realizzare un quilt così originale come questo di Eva Have.
“Ich werde mir geben sogar zu essen, wenn ich 64 Jahre?” è il titolo di un’opera di Eva Have realizzata con delle cravatte. Ich würde die Bande erraten und den Stick sind von ihrem Mann, aber es ist fast sicher, dass sie war (e ancora lo sia) una Ventilator Beatles. das Lied “Wenn ich vierundsechzig” es wurde von Paul McCartney komponiert, e mai lui, dann sechzehn, haben könnte, dass die Vergangenheit vorgestellt Vierundsechzig Es wäre immer noch stark gehen, und er komponiert und interpretiert “Tanz Heute Abend“, als Musiker und Star einer Stelle eines berühmten Gerät Elektronische, mit dem Sitz in der Tasche alle Beatles Diskographie zu halten (und die Steine, Who, ecc.).
Ovviamente le lettere in applique fanno parte del testo di quella canzone.
Eva Have non me ne voglia, ma invece della versione originale dei Beatles ho preferito inserire questa simpatica cover.
Bella l’idea di accoppiare dei patchwork tradizionali alle macchina da cucire d’un tempo, macchine semplici ma robustissime, sicuramente ancora funzionanti, come del resto ancora funziona a distanza di decenni il motivo “Dear Jane”. Alla realizzazione comune di queste opere si sono applicate molte quilter di qua e di là dell’oceano, perciò la mostra è stata intitolata “Share Jane”.
Un’altro esperimento intitolato “Gardens around the World” è stato portato avanti dalle associazioni Téxtile-Resonance e Deutsche-Afghanische, quello di piccoli lavori a quattro mani, due europee e due afgane, due mondi di uno stesso mondo. Le quilter europee hanno inviato in Afghanistan una traccia, un pannello con alcuni elementi patchwork, elementi sui quali le quilter afgane hanno elaborato nuovi sviluppi.
Per quanto questo possa apparire una sorta di limitazione, ovvero quella di dover operare su un un percorso in parte già tracciato, die quilter afgane hanno dimostrato molta fantasia e sorprendente libertà espressiva (per molte l’unica libertà loro concessa).
Dall’Afghanistan al Tibet il passo è breve, solamente un salto alto circa novemila metri: l’Himalaya.
Il mandala è prima di tutto un’immagine mentale, una visione che riconosce un suo centro dal quale si dipartono le complesse geometrie cosmiche. La rappresentazione di un mandala non può essere che imperfetta, più che altro evocativa e, come tutte le cose terrene, effimera. Per quanta infinita pazienza abbia accompagnato il completamento di un mandala, essa non lo salva dalla distruzione a opera dei suoi stessi creatori.
In osservanza della regola buddista, chi ha partecipato al “Concours des Mandala” dovrebbe in futuro disfare il suo patchwork. Ma dubito assai.
In più di qualche occasione mi è stato chiesto perchè mai mi toccasse avventurarmi fino a una remota valle dell’Alsazia per una mostra di quilt, und warum dieses waren ihre eigenen in so kleinen zu halten. In diesen Fällen beginnen mit der Feststellung, dass Sie nicht gehen, um zu sehen “una” Ausstellung, ma si va a vedere “LA” Ausstellung patchwork più importante in Europa, nel senso che è proprio un patchwork di esposizioni, una più interessante dell’altra, e tutte cucite su un backing originale e molto antico.
Alla fine del ‘600 Jakob Ammann pose qui le basi della sua comunità di anabattisti alsaziani, quelli stessi che sarebbero diventati più noti col nome di Amishe, e poi Amish in Pennsylvania. Come non trovare allora un collegamento con le origini del patchwork?
weiter zurück, im Mittelalter, die Schlösser zwischen der Straße des Getreides um den Schnittpunkt der Bewachung und Wein, von Nord nach Süd, mit der Straße von Salz und Silber, in Ost-West-Richtung.
Quindi, aber “Ferntal”, si tratta invece di un angolo delizioso nel quale il patchwork è parte del “tessuto” Kultur-, und wo der Massentourismus noch nicht gekommen Schaden zu tun.
Ich nehme an, in Val d'Argent Dichte quilter pro Quadratkilometer ist hoch, sowie sehr großzügig ihre Aktivismus erscheint, Einzel- und assoziativ, e del resto le loro esposizioni stanno lì a dimostrarlo.
Val’Patch (und ich überlasse es Ihnen, zu erraten, was es ist stromabwärts) Er hat eine Ausstellung mit dem Titel zusammengebraut “L’Hiver, saison de Noël”, um zu zeigen, dass der Winter nicht nur im Elsass kürzere Tage bedeutet, wenig Sonnenschein, regen oder Schnee (Wahl), kalte Füße und die laufende Nase, ma pure il piacere di poter restare a casa, al calduccio, Beobachten einer Landschaft, die etwas schafft es immer noch zu bieten, die uns inspirieren können.
Certo che anche l’autunno ha il suo fascino, con tutti quei colori intensi, come se la natura lanciasse un toccante grido di dolore verso il cielo che si fa ogni giorno più cupo e ostile.
Perché l’inverno prima o poi arriva, e di tutti quei colori e di quei profumi resta il solo ricordo. Allora non c’è altro da fare che attendere, magari smorzando la malinconia con ago e filo.
Chissà che proprio in quei momenti uggiosi non arrivino le idee migliori, come per esempio il taglio originale di questo quadretto, l’oblò di un’imbarcazione che naviga sul mare della suggestione.
Se non conoscete il significato dell’acronimo ASCLVL ve lo spiego io: Association Sports, Culture et Loisirs en Val de Lièpvre.
Non sarei sicura che il patchwork possa essere definito una disciplina sportiva, vero è che, alla luce dei magri ritorni economici di tante fatiche, si potrebbe ben dire che lo facciamo per sport.
Di fronte a questo variopinto albero di originali borse realizzate dalle quilter di Liépvre non posso che augurare loro tutto il successo che si meritano: hasta la victoria siempre.
Ed eccoli qua i famosi patchwork Amish e Mennoniti, messaggeri multicolore di una cultura secolare. Ogni anno tornano in Val d’Argent, come fanno talvolta gli emigranti che vanno a visitare il loro paese di origine e lo trovano molto diverso da come lo avevano lasciato. Il patchwork è molto cambiato da allora, se in peggio o in meglio lascio decidere a voi.
Chi si muove nel solco della tradizione ha la vita dura; non esistono scorciatoie, gli effetti speciali sono banditi, e la struttura dev’essere quella codificata: backing, batting, top. A pesare inoltre contribuiscono le dimensioni del lavoro che variano da “generose” a “esagerate”. Per riuscire in tale impresa la quilter dev’essere munita di infinita pazienza, armata di notevole abilità, mossa da ferma determinazione, e dotata di una grande visione (e buona vista).
Non serve neppure esagerare col colore, anche perché in origine la quilter non poteva scegliere alcunché, tagliava e cuciva quel che aveva in quel momento a disposizione.
Per l’opera che vedete qui sotto Louise-Marie Stipon si è ispirata a un quilt del 1865 Ernestine Eberhard Zaumzeil. Mal sehen, ob Sie alle Pflanzen erkennen können, die vertreten sind,…
gut, Jetzt Protokoll ändern, oder wie man sich bewegt von Händel ein Maderna, von Canaletto bis Klee, von Stendhal bis Saramago. Ich gebe zu, dass die meisten oft einige Schwierigkeiten stoßen, eine sinnvolle Aspekte der zeitgenössischen Kunst in Greifen, und diese Regel Flucht nicht einmal die patchwork, aber das hängt allein von meinem Mangel an künstlerischen Vorbereitung. Es bleibt die Tatsache, dass, auch ohne sie zu verstehen, Oft finde ich mich von den Werken fasziniert zu sein “Rand Linie“, Jobs, die normalerweise ihre Nasen an die Puristen machen aus patchwork. Was zählt, almeno per me, Es ist, dass sie nicht vor einem halben Jahrhundert nachgeahmt Stile der Malerei schon tot und begraben, sondern einen Punkt der Vereinigung zwischen Fähigkeiten zu finden und Ideen.
Aus diesen Gründen kann ich nie gleichgültig bleiben, wenn ich mit den Arbeiten zu den Ausstellungen von Quilt Art gebracht konfrontiert bin.
Si sarà già capito che ho una predilezione particolare verso i lavori di Eszter Bornemisza, e per vari motivi.
In primo luogo la ammiro per l’originalità della composizione (indimenticabile il “Delicate Balance” visto a Praga nel 2011) e per la sorprendente varietà dei materiali utilizzati, dalla carta ai fili elettrici. Eszter poi non ama i colori sgargianti, ma nemmeno le facili Nuance, anzi le sue opere potrebbero persino fare a meno del colore e sarebbero belle egualmente; sono dei capolavori fedeli a sé stessi come lo era la maschera di Buster Keaton, niente sorrisi o ammiccamenti, ma con una forte carica emotiva. E in ultimo mi va di far notare che le sue opere non sono sono un mero esercizio estetico, bensì contengono, o perlomeno suggeriscono un messaggio non sempre rassicurante, come nel lavoro qui sotto nel quale par di capire che speranza, dolore, Freude und alles, was wir im Leben erfahren, sind nicht, dass verschiedene Szenen einer Art von Film außergewöhnliche Handlung dessen kann nur schwer fassbar.
“Kontakt” Dies ist das Thema des Quilts Ann Johnston, verstanden als ein Ort, an dem verschiedene geologische Elemente koexistieren, manchmal in einem schmerzhaften und Wettbewerber. Der logische Weg der Darstellung dieser geologischen Einbrüche konnten nur mit dem Eindringling für herausragende Leistungen auf den Kontakt von ihnen führen: der Mensch.
Angesichts der enormen Vielfalt der Kontakt zwischen den beiden Fächern, war glücklich, Idee, den menschlichen transietorità im Vergleich zur Dauer des Felsens durch zu betonen, was am flüchtig und substanzlos, oder Schatten. In diesen Arbeiten hat sich der Granit der Sierra Nevada eine ausgezeichnete Quelle der künstlerischen Inspiration und existentielle Reflexion gewesen.
Restiamo in tema.
Conosco due sole maniere per avvicinarsi alle antiche pietre: beobachten oder beobachtet werden. Im ersten Fall können sie den Stil zu schätzen wissen, die Rechnung oder die Mühe, sie zu arbeiten, vielleicht können Sie auch Ehrfurcht versuchen, persino sgomento dinnanzi alla loro scabra severità. Oppure si può accettarle per ciò che sono state, sono e sempre saranno, ovvero testimoni dalla memoria inesauribile.
Il fatto che siano testimoni silenziose non significa che non riescano a dirci qualcosa, anzi il silenzio è proprio la loro lingua madre, l’idioma universale che unisce il calcare delle piramidi col marmo del Partenone, la scalinata di Swayambhunath con quelle di Chichén Itzá, le teste dell’Isola di Pasqua con quelle del Monte Nemrut. Anche se a noi manca la capacità di interpretare i loro secolari discorsi, possiamo restare in silenzio a farci osservare, minuscole e fragili entità, quasi ridicole per quanto ci mostriamo velleitarie. Solamente nel loro, e nostro, silenzio ci parleranno di vita, di fatiche, di speranze, di giorni, mesi, anni, secoli spesi a guardarsi senza capirsi.
Wo er stand auf den Berg, von dem der Fels erging es wurde?
Dove sono ora le mani di coloro che posarono pietra su pietra?
Wo sonst zu gehen, wenn alle diese Geröll ruinieren?
Wo werde ich sein, wenn dieser regen die Fragmente verbrauchen?
nirgendwo, tutto è semplicemente qui e ora.
(S. V.)
Es ist kein Zufall, dass Denise Labadie von der Aura von August Geheimnis fasziniert diese alten Denkmäler lithic Umgebung.
I suoi avi avevano lasciato l’Irlanda per l’America più di un secolo prima, e lei, nata e cresciuta in un paese relativamente “giovane” e in continua evoluzione, ha voluto rivedere la terra delle sue origini, e forse lì ha trovato qualcosa che va molto al di là delle sue radici genetiche, qualcosa che ha a che fare con le leggende di un’epopea che si sarebbe ormai persa nelle nebbie del tempo se non ci fossero “loro” a farla riecheggiare.
Ma Denise è andata oltre, non si è limitata a “Foto” un suggestivo paesaggio irlandese, lei ha cercato di trasmetterci le sensazioni che ha provato, e lo ha fatto tramite l’uso del colore, trasformando le verdi colline d’Irlanda come i mari cangianti di Monet.
C’è stato un momento nel quale mi sono vergognata di me stessa.
Stavo ammirando un grande patchwork e nel contempo mi lamentavo del fatto che la rizoartrosi della quale soffro da un po’ mi stesse impedendo di realizzare dei lavori di tale portata, quando una bravissima quilter mi ha mostrato com’era messa la sua mano: stava molto, ma molto peggio della mia. Ancora adesso non riesco a capacitarmi come sia riuscita a sopportare il dolore, tutore o non tutore.
Così, oltre a sentirmi una mezza calzetta, mi sono pure data della frignona…
Eh sì, quelli erano giorni, tutti di fuoco, di energia, di contrasti, di gioventù, ma si sa, tempus fugit…
Wer sind die SnipSISter? sind die quilter Gabi Fischer, Gonhild Murmann und Eva Wöhrl, die den Schwerpunkt ihrer künstlerischen Ausdruck Frau zu setzen beschlossen, konzentriert sich auf sein Talent und die vielen Facetten seiner Persönlichkeit.
“fortgeschritten” Es ist der Titel ihrer Exposition, und ich weiß nicht, ob es sich um eine Tatsachenfeststellung oder eine Hoffnung ist. In ogni caso, wie er sagt Gabi, Es hat immer noch zu kämpfen.
Männer machen sich lustig über Frauen besagt, dass sie sprechen, sprechen, parlano sempre… als ob die Männer Herren nicht auf eine Strafe stundenlang lieben argumentieren verweigert, von einem manipulierten Motor, auf einem gestohlenen Blick. Wer weiß, dass sie nicht alle bloße Vorurteile…
Ma di cosa parlano le donne? Di tante cose e delle mille sfumature della loro vita. Gonhild hat in der Mitte einer mutigen Frau einander gelegt, eine diskordanten Stimme, dass ein, leider für sie, Sie haben nicht immer ein leichtes Leben, wenn überhaupt, dann kann es das Leben der Frau einfach sein.
Stattdessen schlug Eve, eine Verbindung zwischen bestimmten Eigenschaften des weiblichen mit der Pflanzenwelt, vor allem Blumen. Ich weiß nicht, in diesem Fall, welche Pflanze darstellen könnte mich besser, Vielleicht ist die Brennnessel, forse la palma di Tromsø, o magari proprio l’eringio ametistino.
Ecco, se pensate che sia troppo dura verso me stessa non avete che da proseguire nella lettura di questo post, dato che più o meno inconsciamente ho gettato le premesse per quanto ho da commentare in seguito.
Quest’anno avevo un motivo in più per andare in Val d’Argent, un valido motivo: il concorso internazionale «La magie de la couleur». Ebbene, è ora che ve lo dica, a quel concorso partecipavo anch’io e, vi prego di credermi, già il fatto che il mio lavoro fosse stato selezionato costituiva per me il massimo traguardo raggiungibile, il vertice di una travagliata carriera di quilter, o per meglio dire “alchimista tessile”.
Sia subito ben chiara una cosa, mai ho pensato di vincere alcunché, und in der Tat, zu wollen, um zu versuchen,, meine Arbeit wäre leicht gewesen, zu erkennen, Ich war sicher, dass wie die weniger schön erschienen wäre.
Ancora prima di partire per l’Alsazia le mie aspettative erano elevatissime, fondate su quanto di pregevole avevo visto in passato (in foto e di persona), und das Thema des Wettbewerbs war die angenehmsten Sie könnte einen Künstler fragen: tradurre il colore in magia e viceversa, il tutto con la massima libertà espressiva. Fantasticavo su labirinti cromatici, giochi di luce, arditi accostamenti, composizioni lisergiche, e altre folgoranti astrazioni che mai io sarei riuscita a concepire, neppure vivendo mille anni. Immaginatevi un mix di Kandinskij, Escher, Kubrik, LaChapelle e i Pink Floyd, ecco, ci siete quasi. Invece l’impressione che ne ho ricevuto è quella di un’occasione mancata, un gol mangiato a porta vuota, la paura di spiccare il volo, di osare, di turbare l’armonia.
Mutuando un famoso tormentone televisivo, mi è venuto spontaneo di dire: concoorso? Mi stai diludendo…
Ma il peggio doveva ancora arrivare, al momento della premiazione.
Quello non era certo il primo concorso che vedevo, e mi era già capitato di restare perlomeno dubbiosa sulle alcune scelte della giuria. Ricordo un’intervista alla validissima Annabel Rainbow nella quale anche lei esprimeva forti perplessità nei confronti dei concorsi. Si aggiunga il fatto che giusto lo scorso anno è stata premiata un’opera pedestremente tratta da un’immagine pubblicitaria, e quindi ero un po’, come si potrebbe dire…, prevenuta. Quindi ho fatto un bel giro tra i lavori, li ho squadrati ben bene, da lontano e da vicino, e infine mi sono creata una mia personale classifica.
Ebbene, una sola delle opere che avevo considerato ammirevoli ha ricevuto il riconoscimento che meritava, e mi va di mostrarvela subito.
Ethelda Ellis è quella che si dice “un’amante della natura”, perché solamente chi sa coglierne la magia è in grado di apprezzarla come merita.
Sono veramente quaranta le sfumature di verde in questo quilt? Io non lo so, non sono andata a contarle, ma quel che è certo è che ci sono tutte quelle necessarie a rendere “magica” una passeggiata nel bosco, che sia di tronchi e foglie o di cotone e abilità. I rettangoli sono un suo leit motiv, dei mattoncini con i quali, più che descrivere, fa emergere un’impressione, come del resto aveva già dimostrato nel suo quilt dedicato ai fiori di Keukenof.
Brava, bravissima, secondo me la migliore.
E il resto? bereits… il resto. Da dove cominciare? Magari da un’opera che essendo completamente fuori dalle dimensioni imposte dal regolamento non doveva essere nemmeno accettata, e che, pur essendo una pedissequa trasposizione su stoffa di una fotografia pescata su Internet, è stata pure premiata. Provata perplessità anche per un altro lavoro che mi è parso un remake di un altro simile di qualche anno prima sempre della stessa autrice. Quindi, tra premi a opere palesemente fuori squadra, opere la cui cifra artistica ancora mi sfugge e opere realizzate con l’aiuto del computer, alla fine di quel pomeriggio ero, mi si passi il francesismo, abbastanza incazzata.
Mi va invece di mostrarvi alcune delle opere che, secondo me, Sie verdienten Anerkennung, sowohl für die feine Verarbeitung, dass die ursprüngliche Interpretation und zugleich treu des vorgeschlagenen Thema.
Schauen Sie sich die Kinder, diejenigen, die noch nicht von zwinkert audiovisuellen Medien gehirngewaschenen: sie sind alle verschieden, weil sie noch nicht genehmigungs vorstellen, soziale Akzeptanz, Einstimmigkeit, Konsistenz; instinktiv verhalten, nach ihren Moment der Inspiration, perciò sono spesso chiassosi, turbulent, unkontrollierbar.
Prendete tutti quei bambini e mettete loro sotto al naso un foglio di carta bianco, e accanto a quello una serie di matite colorate. Nach einer Weile werden Sie sie alle beugte sich über ihre mehr oder weniger abstrakte Grafik sehen, e il colore, genau wie der Rattenfänger von Hameln, se li porterà via con sé, almeno per un po’. Se non è magia questa ditemi voi cos’è.
Da qualche parte che ora non ricordo devo aver letto una bella storia che parlava di una farfalla blu. Si narra di bambina che si era messa in testa di gabbare un venerato saggio ponendogli una domanda alla quale egli non avrebbe che potuto dare una risposta sbagliata.
La bimba allora catturò una farfalla blu, e facendo molta attenzione la imprigionò tra le sue manine. Sarebbe andata dal saggio per chiedergli se la farfalla che teneva nelle mani fosse viva o morta; se egli avesse risposto che era viva la bimba avrebbe schiacciata la farfalla quel tanto per farla morire, mentre se la risposta fosse stata che era morta lei avrebbe lasciato volare via la farfalla ancora viva. In ogni caso il saggio avrebbe sbagliato e sarebbe stato screditato.
Giunta che fu davanti a lui chiese: “dimmi, tu che sai tutto, la farfalla blu è viva o morta?”. Al che il vecchio saggio socchiuse gli occhi, le sorrise e disse: “dipende da te, essa è nelle tue mani”.
Non so se Barbara Lange abbia mai letto questa storia, una storia nella quale la semplice farfalla posta come una domanda diventa invece “la risposta”, ma è certo che se desideriamo una vita animata dalla magia dei colori e della grazia di una farfalla blu dobbiamo lasciarla libera di spiccare il volo. Dipende da noi.
Impossibile.
Impossibile non avvertire la forza che emana questo quilt, die Stärke einer erhitzten Leidenschaft.
die Leidenschaft, die wirkliche und unbezähmbar, in den Adern hat die rote Farbe des Blutes fließt ungestüm, und das Weiß der Nerven, die in der Aufregung der Sinne Köcher. Wenn es keine Leidenschaft Farben ist ausgeschaltet, nur bleiben die weichen Schatten von Sympathie, die angenehme Ruhe Kombinationen, die verblichenen Töne Rücktritt, und die endlose Grau der Ausdauer.
Kann nicht der Widerstand zu leisten, und für einen Moment gewünscht, Sie zu berühren, vielleicht auch nur ihr putzen, ma non Kosai.
Perché la passione non è cosa da poco, Es ist ein Feuer, das den Körper und Seele wärmt, aber in diesem brazier wird verbraucht, um die Flamme zu ernähren.
Si può anche decidere di essere una candela, ardere piano per illuminare tutta una vita, ma con la la passione non si scherza, si diventa come Candela, una focosa gitana che si improvvisa strega per amore in “El amor brujo” di Manuel de Falla.
L’amore è uno stregone, e per le sue magie passionali non ha bisogno di formule segrete e arcani rituali, siamo noi formula, alambicco, pozione e vittima, ahnungslose Autoren einer unmöglichen Torheit.
Nel quilt unten gibt es nichts, nulla di più di quello che serve per richiamare alla mente un’ultima bella giornata di un autunno inoltrato. In quest’opera la magia del colore è sottolineata dalla quiltatura, foglie su foglie sopra, spazio su spazio sotto, e giusto qualche segno a suggerire l’esistenza di un sole pomeridiano.
Inutile cercare del realismo in questa rappresentazione autunnale, niente può essere così uniformemente rosso, tranne forse un ricordo, o un sogno. La magia in questo caso è stata quella di far ammettere come vero ciò che vero non è, ma siccome la realtà è spesso frutto di un clamoroso travisamento, non è detto che la magia sia ingannatrice.
Eccoli i colori, finalmente! Cinquantasei colori diversi, e per ognuno di essi Marisa Marquez ha utilizzato una quiltatura diversa, e ha pure aggiunto un pizzico di simbolismo esoterico mediante dei piccoli glifi. A un’idea semplice, lineare, si contrappone la difficoltà di accostare i tutti quei colori in maniera che con non si scannino l’un l’altro per emergere.
Mi piace immaginare che dentro a ogni “uovo” Marisa abbia voluto racchiudere il suo stato d’animo del momento, forse per conservarlo, forse per ragionarci da lontano, forse per separarsene definitivamente, o magari attendendosi una magica schiusa in grado di farle rivivere un’emozione. Chissà…
Intanto voi starete pensando: questa parla, parla, ma non si decide a mostrare il lavoro che ha realizzato per il concorso. Come mai?
Avete ragione, però mi premeva esporre in evidenza prima le opere che secondo me erano di un livello superiore alla media. Ora che il mio dovere (e piacere) l’ho fatto posso concedermi cinque minuti di vanità.
Inizio coll’ammettere che per la scelta del soggetto sono stata un po’ “ruffiana”.
Non penso che sia un’eresia affermare che in Francia aleggia in varie forme la brezza di un tradizionale sciovinismo, forse anacronistico, ma per certi versi persino attraente per la sua ingenuità, und so entschied ich mich für die Farbe, die mehr ist Französisch: il bleu de Lectoure. Attorno a quel paesino posto sul versante francese dei Pirenei, già civitas sotto i romani col nome di Lectora, crescevano bene le piante di guado (wissenschaftlicher Name Isatis tinctoria), e nel Rinascimento fu inventato un procedimento per tingere di blu la stoffa utilizzando appunto le foglie di guado, il che fece la ricchezza di quelle terre. Come allora anche oggi le foglie triturate e macerate vengono raccolte in una specie di palla, cocagne in francese, e per via di quella fortunata risorsa Lectoure divenne appunto il paese di cuccagna.
La magia sta tutta nel processo di colorazione, poiché la stoffa che esce dal bagno di tintura di guado è giallastra, ed è solamente quando viene messa ad asciugare all’aria che diventa blu, l’unico e inconfondibile bleu de Lectoure.
Ich fühle mich wie ich betonen muss, dass die quilt, wenn auch nicht auf dem Niveau der besten Arbeiten des Wettbewerbs, die prevedibilissimi Themen die bunte orientalische Fest hat vermieden inspiriert, sowie es nicht versuchen, die Farbwirkung Zusammensetzungen, bensì è andato a scovare la magia proprio dove dovrebbe stare, eigentlich, noch besser, wenn Textil. Und wenn Sie bitte…
Basta, ora parliamo d’altro.
Avevo già avuto modo di apprezzare il gusto delle quilter lettoni, e precisamente a Friesach nel 2015. Qui a Lièpvre gli ambienti sono più ampi, perciò anche le opere trovano il loro “spazio vitale” per esibirsi al meglio delle loro qualità.
Bello avere un’amica, una che dai suoi viaggi non ti porta dei Souvenir di cattivo gusto, bensì delle immagini ispirate, fotografie che entrano nel paesaggio, esotico o familiare che sia, come sa fare l’occhio di chi ha il dono di notare il dettaglio che fa la differenza.
Maryte ce l’ha questa amica, si chiama Rita, la quale le regala le suggestive immagini dell’acqua che lei incontra per il mondo. Niente di più semplice, niente di più comune, niente di più familiare, eppure l’acqua si dimostra ogni volta un’artista insuperabile in grado di trasfigurare ciò che la circonda in visioni mai scontate.
Diificile capire da dove provenga questa superficie immobile, da un’ansa del Danubio, da un lago in Cambogia, da una palude della Louisiana, e chi lo sa. Ciò che invece si percepisce è il senso di pace che il quilt di Maryte riesce a trasmetterci.
Dovevate vederlo lì questo patchwork, da solo dava luce a tutta l’area circostante. La fotografia non rende assolutamente giustizia alla composizione così algida eppure così dinamica, talmente dinamica da sospettare che d’un tratto gli sposi sarebbero potuti uscire dalla stoffa per volteggiare in mezzo alla sala.
Spostiamoci da Nord a Sud, dal Daugava al Danubio; e che saranno mai quei millecinquecento chilomentri dal Mar Baltico fino in Pannonia?
Ungheria non significa solamente Eszter Bornemisza.
Alcune artiste magiare hanno dato vita al Modern Műhely / Modern Movement, un’associazione che ha lo scopo di promuovere nuovi modi di interpretare il patchwork, e a giudicare dai risultati ci stanno riuscendo benissimo, come del resto avevo già potuto intuire a Parma più di tre anni fa.
Beh, Mit dieser Wahl der Farben so aggressiv, mit ihrer Gefangenschaft innerhalb einer extrem steifen Geometrie, und mit so viel genau wie unnatürlich Symmetrie, diese Kohlen geben mir nicht das gleiche Gefühl einer Einsparung Wärme, aber es scheint eher die Tore. Badate, Dies ist keine Kritik, giacché c’è stato qualcuno che descrivendo a parole l’Inferno si è garantito l’immortalità. Leider ist in der Geschichte der Menschheit (oder unmenschliche) Sie sind offenbar zyklisch die Verrückten, die versucht haben, den Worten Taten folgen zu lassen, e per somma sfortuna ci sono al mondo ancora tante persone di memoria corta…
I colori della musica di Carl Orff per quest’opera in due atti di Piroska Pásztor.
C’è effettivamente qualcosa di medievale nella sua scelta delle tinte forti, ma cupe, nella ripetizione e nell’assenza di prospettiva. Durante quei secoli così ricchi di rovina e di morte il canto licenzioso dell’ubriaco era uno sberleffo in faccia al potere, sia esso detenuto da un principe, una chiesa, una pestilenza, ein berüchtigter Ziel.
I due pannelli sono simili per costruzione, e diversi nell’aspetto, come lo sono i carmina di Orff. Quello a sinistra mi ricorda “Ecce gratum“, mentre per quello a destra non ho dubbi: “In taberna quando sumus“.
Avevo già visto a Praga una sua opera, però solamente a Sainte Croix aux Mines ho finalmente compreso Rachel Covo, ovvero la grande suggeritrice.
L’artista israeliana infatti è abilissima nell’indurre l’osservatore a creare e a condividere una sua visione spaziale di grande respiro, e lo fa con elementi che non descrivono, ma evocano, utilizzando con rara maestria la forma e il colore.
Mediante la sovrapposizione di piani non coerenti, e semplicemente tratteggiando dei profili puramente bidimensionali, Rachel Covo riesce nell’inganno tridimensionale, ottenendo una profondità inarrivabile con la classica rappresentazione prospettica.
Ditemi allora se non vi sembra di essere allo stesso tempo in acqua e in aria, come se foste un delfino che ha del “non mare” una visione approssimativa e misteriosa.
La sua compagna di banco, volevo dire di esposizione, Orna Ron esponeva dei lavori di grande impatto visivo caratterizzati da forti contrasti cromatici e di luce.
Mazed, ovvero smarrirsi in un labirinto psichedelico, forse per imprudenza, forse per malasorte, o forse per nascondersi dagli abitanti di un mondo troppo schematico. Chissà se smarrire la retta via non porti talvolta a qualcosa di buono, come se quello di Arianna non fosse un filo, ma una catena.
Sehr selten sind die Zeiten, dass ich in ein Restaurant zu gehen, passieren, Ich bin mehr Mädchen aus Landgasthöfen oder sogar lokaler “rustici”, aber wenn es passiert, ich liebe es, auf dem kulinarischen Genuss zu wohnen, dilatanto Zeit zwischen den Gängen und den anderen, beispielsweise durch ein Sorbet Bestellung, giusto per rinfrescare il palato e ravvivare il piacere dell’attesa.
Ecco, Jobs, die folgen (in keiner bestimmten Erkrankung) Art sind tie-Break, quel tanto che basta per tirare il fiato prima del piatto forte, die Leckereien nicht weniger interessant als Sie bisher gesehen haben.
Ausstellungen Drehen begegne ich oft einige Arbeiten von Gillian Travis, und es ist immer eine angenehme Überraschung.
Von Indien brachte er uns diese Darstellung der weiblichen Welt, die Tatsache der Ermüdungs, vielleicht von Rücktritt, sondern auch von Farbe und Gemeinsamkeit.
C’è ci torna e chi arriva.
Il titolo dell’opera di Brigitte Kopp potrebbe suggerire che lei sia rimasta suggestionata in passato da una vecchia serie televisiva, “Die Ankunft”, anche perché non ci sarebbe stato tempo per tradurre in stoffa il film “Arrival”, uscito appunto nel 2016. Ma sia che abbiano l’aspetto di stelle marine oppure di baccelli, che siano dei ferocissimi aracnidi oppure un’inarrestabile massa informe, che arrivino per l’acqua oppure per farci evolvere, questi “nuovi arrivi” sono sempre sentiti come una minaccia, persino quando non appaiono per niente, come per esempio nel magistrale “Incontro con Rama” di Arthur C. Clarke.
Chi sta arrivando allora, e da dove? E chi lo sa, magari provengono da un lontanissimo pianeta chiamato “Terra”, un mondo dove gli alieni portano il burqa, il gessato, il taccododici, la pistola, il pacchetto azionario, la pelle bucata, e altre mille alienazioni.
Anche Katalin Székely parrebbe manifestare un suo disagio nei confronti di un mondo in bilico tra ordine programmato e caos distruttivo, tra stasi e fuga, tra obbedienza cieca e odio inestinguibile, una scelta tra opzioni di certo non desiderabili, almeno per me.
Però, anche con questo vago senso di angoscia che mi pervade (avete presente i film di Kieślowski? Ecco, siamo lì), non posso non restare affascinata da questa composizione.
Ci sono un po’ di cose sotto il piumone di Gudrun Heinz, ma del resto con tutto quello che c’è da misurare, tagliare, accostare, cucire e quiltare, di tempo per le faccende di casa ne rimane poco. Anni fa lessi questa felice massima: “La vera quilter deve poter passare davanti a una sedia stracolma di roba da stirare senza batter ciglio”.
Questa è la prima volta che un’opera di Gudrun Heinz appare sul mio blog (lei sa perché…), e spero proprio che non sia l’ultima.
Questo è il tipo di opere che mi aspettavo di vedere al concorso «La magie de la couleur», un lavoro caratterizzato da una densità cromatica talmente elevata che la stoffa di fatto sparisce, come se Edith Bieri-Hanselmann avesse direttamente spremuto sul backing dei tubetti di colore, die Art und Weise des ersten Jackson Pollock.
Il titolo farebbe supporre che qualcosa sia stato gettato sulla superficie e, come succede per qualsiasi oggetto pesante gettato in acqua, dal centro di caduta si propaga un moto ondoso circolare.
Invece (e ti pareva…) credo che l’artista abbia creato degli archi e dei cerchi sempre più stretti, fino ad arrivare al centro, il punto dove “Splash” non è l’effetto ma il desiderio, quello di tuffarsi nell’opera e divenire tutt’uno con essa.
Tenetevi forte perché ora arrivano.
Chi? Come sarebbe a dire chi, ma i patchwork giapponesi, che diamine, il meglio del meglio, le opere che riportano i (nostri) piedi per terra, e anzi ci levano pure anche qualche centimetro in altezza.
Ho faticato un po’ per capire cosa significasse Mother’s Beijyu. A quanto ho capito si tratta del festeggiamento di una persona per il suo raggiungimento di una determinata e venerabile età.
Anticamente questa celebrazione avveniva al traguardo del sessantesimo complenno, fino a quando la Fornero non l’ha spostata al sessantasettesimo compleanno.
Che dire, non ci sono parole per descrivere adeguatamente la sontuosità di tali capolavori.
Un tempo almeno ci potevamo consolare affermando che i patchwork giapponevoli erano belli, sì, ma allegri come i crisantemi a Novembre. Ora neppure questo ci rimane da quando loro hanno imparato a dosare bene anche i colori più vivi, e a noi non resta altro che abbozzare e morire di invidia.
Visto che siamo nei paraggi, con quattro bracciate nel Mar del Giappone possiamo arrivare in Corea del Sud. Qui la Han Quilt Association ha importato la tecnica delle mola, una tecnica tessile tradizionale dell’Isola di San Blas, vicino a Panama.
Se la tecnica è simile, la differenza sta tutta nel significato delle mola. Per i Kuna, gli abitanti di San Blas, die molas sono la rappresentazione di quello che per loro è l’universo, ovvero una serie di strati sovrapposti, mentre in Corea le mola costituiscono un’occasione per rappresentare in maniera nuova e accattivante alcuni temi della loro tradizione.
Come sempre capita in Val d’Argent, è difficile trovare un’esposizione che non sia men che bella, ma quest’anno è stato diverso, poiché mi è capitato di ammirare delle opere che da sole valevano tutta la fatica del viaggio.
È raro, ma quando succede è un’esperienza indimenticabile.
Voi cosa vedete?
Si tratta di un tratto di pavimentazione in masegno, a Venezia; è notte, e ha appena smesso di piovere; un lampione in alto fa brillare la scabra superficie di trachite euganea, da secoli resistente alla salsedine e al passaggio di milioni di suole; la luce si specchia nelle piccole pozze, le quali, complice l’umidità di casa in laguna, resteranno identiche fino al mattino seguente. Il tempo, nelle sue due forme, ha scacciato la massa di turisti, e restano a vagare per le calli solamente le persone che amano fare un bagno di silenzio a Venezia. Malin Lager è una di queste, è una cacciatrice di immagini, ma non i soliti ponti/canali/gondole/chiese/palazzi/panorami, no, lei osserva Venezia con la lente di ingrandimento, in cerca di dettagli unici.
gut, ora che avete visto anche voi tutto questo, vi pregherei di avvicinarvi per osservare meglio l’opera di Malin Lager. Ecco…
… ora lo sapete anche voi, non si tratta di stoffa dipinta, è filo!
Malin Lager è anche una bravissima ritrattista in grado di cogliere l’espressione che rende unico e inconfondibile il soggetto, e già questo sarebbe bastevole per definirla un’artista.
Evidentemente per lei ciò non era sufficiente, così ha pensato bene di trasformare i suoi ritratti in opere tessili che definire originali sarebbe perlomeno riduttivo.
Osservate lo sguardo di questa ragazza, non giudica e non vuole essere giudicata, ma lei vi vede dentro.
gut, ora che ho calato il carico da undici posso anche chiudere questa partita.
Sarete d’accordo con me che i due giorni di viaggio tra andare e tornare sono stati ben spesi quando si ha la fortuna (insperata) di ammirare tali capolavori.
Come sempre mi sono accorta che le “vere” artiste più sono brave e più si dimostrano persone semplici, modeste, anzi mi è capitato di vederle spesso imbarazzate per la profusione di complimenti che ricevevano, e Malin Lager non faceva eccezione. Un altro pianeta…
In futuro… già, il futuro, cosa vedremo domani? Ich habe eine Idee, die ich, e dopo tanti capolavori vorrei concludere questa mia esposizione con un’opera che contiene in sé una delle mie maggiori aspirazioni, ma nel contempo uno dei miei maggiori crucci.
Non so come vadano le cose all’estero, spero meglio che da noi, ma dalle nostre parti è molto difficile promuovere il patchwork presso le generazioni più giovani. Le associazioni spesso non hanno forza e appeal sufficienti per avvicinare chi potrebbe portare nuova linfa, e sulla scuola poi stendiamo un velo pietoso. Parola, preferirei trovare una persona giovane alla quale trasmettere quel poco che so piuttosto che vincere un premio tra quilter della mia età.
Ecco allora l’opera che mi ha aperto il cuore, il lavoro di un gruppo appassionato al quale auguro il migliore dei futuri possibili.
Dal Canton Ticino, Paola Zanda ha portato in Val d’Argent un’opera realizzata dai suoi piccoli allievi di Massagno. Che dire… beati loro!
Se non vi basta, vi regalo ancora qualche parola.
Innanzitutto intendo scusarmi per il fatto di non aver potuto riportare nel post tutto quanto di bello ho avuto la fortuna di vedere: non era umanamente possibile. Altre opere che non sono presenti qui potreste trovarle sul mio album di Flickr dedicato all’esposizione di quest’anno.
C’è ancora un sassolino che mi dà fastidio, e penso che sia ora di levarmelo.
Se osservate bene sulla colonna di sinistra del mio blog troverete un simbolo e una nota sotto la voce “Diritti”. Cosa significano? Ecco allora una succinta spiegazione per chi già non conosce come funzionano le licenze Creative Commons.
In buona sostanza, se vi va potete liberamente copiare parte del mio blog su un altro blog, oppure su un’altra piattaforma, immagini comprese, a tre condizioni, che la destinazione dei miei contenuti sia no-profit (come lo è il mio blog), che venga sempre citata l’origine dei contenuti (il mio blog appunto), e che anche voi mettiate a disposizione i contenuti con la stessa libertà di condivisione del mio blog. Non serve altro.
Come già spiego nella mia pagina “To be, or not to be“, al centro di questo blog non ci sono io, c’è il patchwork, e tutto quel che qui combino è per promuovere questa forma d’arte tessile presso chi già la conosce e sperabilmente verso chi ancora ne ignora le potenzialità espressive. Non secondario però è lo scopo di condividere ciò che ho visto con chi non ha il tempo, i mezzi e le forze per andarci alle mostre, poiché non trovo giusto che si debba arrangiare con qualche scarna rivista o delle immagini più o meno rappresentative sui social network (leggi facebook), fermo restando il mio invito a chi può, di andarci alle mostre, giacché una fotografia è sempre una pallida imitazione della bellezza che si può cogliere vedendo un’opera dal vivo.
Il filosofo afferma che la bellezza è il denaro della natura, e che l’arte è solamente una maniera di coniarlo per darne corso. Così come il denaro ha valore solamente se circola, anche la bellezza trova il suo valore solamente quando viene condivisa e quand’è libera di essere apprezzata dal maggior numero possibile di persone.
Per questi motivi il mio blog è “aperto” alla condivisione, und immer aus diesen Gründen ich mit den Gründen der Person nicht einverstanden sind die Strategien der Durchführung der freien Verbreitung von Schönheit zu hemmen. Quindi, I entschieden haben zu halten “kostenlos” dies ist mein blog, Ich kann es nicht geben Raum quilter dass diese Freiheit nicht bieten und nicht verstehen, die Bedeutung.
Fine del sassolino.
C’è altro?
Non direi. Ho passato una settimana meravigliosa in Alsazia, ho scarpinato quanto basta, mi sono quasi persa tra i boschi dei Vosgi, ho provato quel tanto di fame e sete da apprezzare come si conviene il buon cibo e le bevande che quella terra sa offrire, e ho cercato di vivere quell’esperienza come se non ci fosse un domani, suggendone con avidità ogni stilla, perché veramente potrebbe non esserci un domani.
Perciò… à bientôt.
Ringraziamenti
Wir danken Ihnen für Ihre Mitarbeit:
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Giove Pluvio per essersi preso qualche giorno di vacanza via dall’Alsazia.
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La società TER-SNFC per aver piazzato la fermata del bus per Sainte-Marie-aux-Mines proprio davanti al mio albergo.
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LLeclerc Kette für das Denken seiner Zeit eine bequeme Supermarkt neben dem Hotel zu bauen, wo ich Jahre später blieb.
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Il Restaurant Au Central di Sélestat per avermi fatto scoprire la migliore bière blanche che mi sia capitato di bere.
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Il Bar Le Tigre di Sélestat per avermi fatto scoprire il gatto più grosso che mi sia capitato di vedere.
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Idas GPS auf Ihrem Smartphone haben es vermieden, dass meine Existenz im Wald terminassi.
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La Mirabelle, buona per le torte, ottima per il suo liquore.
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Il Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern per aver fatto restaurare il castello di Haut-Kœnigsbourg
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L‘Irish Pub Santa Lucia di Venezia nel quale, prima di ogni mio viaggio, prendo coraggio con una Kilkenny ottimamente spillata.
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La linea Venezia-Paris di Thello per il solo fatto di esistere ancora.
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Mme Gül Laporte per avermi fatto riscoprire la bellezza del Carrefour Européen du Patchwork.
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La mia agenzia di viaggio per avermi sorpresa ancora una volta.
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La buona sorte.
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Herzlichen Glückwunsch für diesen Beitrag reichen und bereichernden, was es ermöglicht,, auch für diejenigen, die es konnte nicht persönlich anwesend sein, zu tauchen und die Magie von Carrefour Européen du Patchwork erleben 2016.
Fotos der Werke, Erklärungen, Kommentare, Filme geben eine gute Idee und genießen, was auf dem Display im Val d'Argent gesetzt wird!
wieder, dank!
Sì, ce l’abbiamo fatta, ancora una volta.