Dopo una più che ristoratrice tappa in quel di Pove siamo ripartiti per Treviso, dove ci aspettava la mostra realizzata dall’associazione Patchwork Idea.
Il tema di quest’anno era “La stoffa delle artiste“, titolo che trovo più che adeguato al patchwork in quanto per realizzare un bel lavoro ci vuole “la stoffa giusta”. Oltre al tradizionale cotone erano state tirate in ballo altre fibre, ortica, canapa, mezzalana, e persino latte, oltre alla contaminazione mediante elementi vegetali quali foglie e fiori.
Interessante.
Il tema di quest’anno era “La stoffa delle artiste“, titolo che trovo più che adeguato al patchwork in quanto per realizzare un bel lavoro ci vuole “la stoffa giusta”. Oltre al tradizionale cotone erano state tirate in ballo altre fibre, ortica, canapa, mezzalana, e persino latte, oltre alla contaminazione mediante elementi vegetali quali foglie e fiori.
Interessante.
Ma… mi aspettavo di trovare qualche opera che utilizzasse queste fibre inusuali, e invece un’intera sala era stata riservata a opere realizzate con le stoffe di Kaffe Fassett, di sicuro pregevoli ma tutt’altro che insolite.
Non pretendo di imporre il mio modo di vedere secondo il quale un patchwork ha più valore se composto con materiali di recupero, però è fin troppo facile il gioco di comprare delle (costose) stoffe sgargianti per realizzare dei lavori di grande effetto cromatico (gusti a parte ovviamente…).
Pur decidendo di soprassedere su questa scelta espositiva, in tutta onestà non me la sento di affermare che il resto della mostra mi abbia emozionato, e non per il livello dei quilt, come sempre molto elevato, bensì per la mancanza di qualcosa, un filo conduttore, oserei dire un’anima.
Non mi si prenda per una spocchiosa incontentabile, chi mi legge sa che non ho mai lesinato commenti positivi quand’era il caso, cioè quasi sempre; il fatto è che stavolta non saprei che dire di ogni quilt, salvo che era molto curato nell’esecuzione e armonico nell’effetto, cose che si possono dire di qualsiasi bel prodotto artigianale, ma che non sono sufficienti per un’opera d’arte. Perché è proprio all’arte che si dovrebbe tendere, per evadere dalle prigioni del lavoro femminile, del passatempo, della manualità creativa, del domestico, della distrazione.
Sono certa che le brave quilter trevigiane avranno ricevuto, come sempre, larga messe di complimenti per la loro mostra, per cui questa mia parola critica è niente di più di un sassolino gettato in uno stagno, ma vorrei che sapessero che è sincera, anche se magari giustificata solamente dalla mia supponenza per la quale chiedo venia fin d’ora.
Diciamo che vale un po’ quello che ho scritto per la mostra di Bassano del Grappa, ovvero di un’attesa forse troppo elevata, ma sapendo di cosa sono capaci le quilter di Patchwork Idea mi duole ancor di più dover ricordare la sensazione di intrigo non intrigante, di immagine non a fuoco, di visibilità senza una visione.
La sottostante panoramica dei lavori esposti alla mostra di Treviso e le immagini inserite nel mio album di Flickr sono la testimonianza delle loro grandi possibilità espressive, come pure i post riguardanti le passate edizioni della mostra, perciò non dispero di scrivere il prossimo anno un articolo di ben altro tenore.
Non pretendo di imporre il mio modo di vedere secondo il quale un patchwork ha più valore se composto con materiali di recupero, però è fin troppo facile il gioco di comprare delle (costose) stoffe sgargianti per realizzare dei lavori di grande effetto cromatico (gusti a parte ovviamente…).
Pur decidendo di soprassedere su questa scelta espositiva, in tutta onestà non me la sento di affermare che il resto della mostra mi abbia emozionato, e non per il livello dei quilt, come sempre molto elevato, bensì per la mancanza di qualcosa, un filo conduttore, oserei dire un’anima.
Non mi si prenda per una spocchiosa incontentabile, chi mi legge sa che non ho mai lesinato commenti positivi quand’era il caso, cioè quasi sempre; il fatto è che stavolta non saprei che dire di ogni quilt, salvo che era molto curato nell’esecuzione e armonico nell’effetto, cose che si possono dire di qualsiasi bel prodotto artigianale, ma che non sono sufficienti per un’opera d’arte. Perché è proprio all’arte che si dovrebbe tendere, per evadere dalle prigioni del lavoro femminile, del passatempo, della manualità creativa, del domestico, della distrazione.
Sono certa che le brave quilter trevigiane avranno ricevuto, come sempre, larga messe di complimenti per la loro mostra, per cui questa mia parola critica è niente di più di un sassolino gettato in uno stagno, ma vorrei che sapessero che è sincera, anche se magari giustificata solamente dalla mia supponenza per la quale chiedo venia fin d’ora.
Diciamo che vale un po’ quello che ho scritto per la mostra di Bassano del Grappa, ovvero di un’attesa forse troppo elevata, ma sapendo di cosa sono capaci le quilter di Patchwork Idea mi duole ancor di più dover ricordare la sensazione di intrigo non intrigante, di immagine non a fuoco, di visibilità senza una visione.
La sottostante panoramica dei lavori esposti alla mostra di Treviso e le immagini inserite nel mio album di Flickr sono la testimonianza delle loro grandi possibilità espressive, come pure i post riguardanti le passate edizioni della mostra, perciò non dispero di scrivere il prossimo anno un articolo di ben altro tenore.
Come ogni volta mi trovo nella necessità, direi quasi in dovere, di chiudere il post con delle considerazioni generali.
Direi che sotto molti aspetti il 2014 non è stata una buona annata: la crisi economica non ha mollato la presa e si è fatta beffe dei proclami ottimistici; l’estate praticamente non è mai arrivata e le verdure sono marcite negli orti, per non parlare della vendemmia e della raccolta delle olive, un disastro; altri disastri sono stati causati dall’acqua e dall’incuria; le guerre, le epidemie e le carestie dovute agli sconvolgimenti climatici non hanno più bisogno di aspettare i quattro cavalieri. Quindi potrei anche supporre che questo fosco quadro abbia in qualche maniera pesato nell’animo di tutte.
Ignoro quale sia lo stato di salute del patchwork nel resto del paese, certo è che se l’associazione nazionale Quilt Italia inserisce nel sito web dati errati o non aggiornati, avendo, per esempio, indicato per la mostra di Bassano il titolo, il gruppo e l’indirizzo di quella dell’anno passato (sic), questo è indice di un pressapochismo che fa cadere le braccia e non depone certo a favore di chi dovrebbe tenere unite le maglie di una rete che da queste parti è sempre più sfilacciata.
“Fermi un turno”, così capitava in qualche vecchio gioco di società, ed è stata esattamente quella la mia impressione; non vorrei che fosse un segno di stanchezza, di mancanza di stimoli, di trita abitudinarietà, perché in questo malaugurato caso la forbice qualitativa nei confronti delle altre realtà europee si allargherebbe ulteriormente, anche senza tener conto degli impietosi dati anagrafici.
A chi ritenesse che io sia troppo pessimista consiglierei di fare ogni tanto qualche puntata all’estero, tanto per vedere di persona, possibilmente con gli occhi aperti, come sono organizzate le esposizioni nazionali, il grado di collaborazione delle varie associazioni e il loro livello artistico. Se riuscirete a resistere allo sconforto potreste diventare delle arrabbiate, proprio come me, anche se, come capiterà a me dopo questo articolo, forse sarete un po’ più sole.
Pazienza, come ho scritto all’inizio dell’articolo, è stato già tutto messo in conto; ce ne faremo una ragione.
Direi che sotto molti aspetti il 2014 non è stata una buona annata: la crisi economica non ha mollato la presa e si è fatta beffe dei proclami ottimistici; l’estate praticamente non è mai arrivata e le verdure sono marcite negli orti, per non parlare della vendemmia e della raccolta delle olive, un disastro; altri disastri sono stati causati dall’acqua e dall’incuria; le guerre, le epidemie e le carestie dovute agli sconvolgimenti climatici non hanno più bisogno di aspettare i quattro cavalieri. Quindi potrei anche supporre che questo fosco quadro abbia in qualche maniera pesato nell’animo di tutte.
Ignoro quale sia lo stato di salute del patchwork nel resto del paese, certo è che se l’associazione nazionale Quilt Italia inserisce nel sito web dati errati o non aggiornati, avendo, per esempio, indicato per la mostra di Bassano il titolo, il gruppo e l’indirizzo di quella dell’anno passato (sic), questo è indice di un pressapochismo che fa cadere le braccia e non depone certo a favore di chi dovrebbe tenere unite le maglie di una rete che da queste parti è sempre più sfilacciata.
“Fermi un turno”, così capitava in qualche vecchio gioco di società, ed è stata esattamente quella la mia impressione; non vorrei che fosse un segno di stanchezza, di mancanza di stimoli, di trita abitudinarietà, perché in questo malaugurato caso la forbice qualitativa nei confronti delle altre realtà europee si allargherebbe ulteriormente, anche senza tener conto degli impietosi dati anagrafici.
A chi ritenesse che io sia troppo pessimista consiglierei di fare ogni tanto qualche puntata all’estero, tanto per vedere di persona, possibilmente con gli occhi aperti, come sono organizzate le esposizioni nazionali, il grado di collaborazione delle varie associazioni e il loro livello artistico. Se riuscirete a resistere allo sconforto potreste diventare delle arrabbiate, proprio come me, anche se, come capiterà a me dopo questo articolo, forse sarete un po’ più sole.
Pazienza, come ho scritto all’inizio dell’articolo, è stato già tutto messo in conto; ce ne faremo una ragione.
Speriamo soltanto che ora succeda qualcosa…