Due anni, o quasi.
Era l’alba del 26 ottobre 2019 quando salivo sul treno diretto in Austria per vedere una mostra patchwork ad Althofen.
Ben ventitré mesi sono passati da allora, mesi drammatici, lunghissimi, deprimenti, caotici, inaspettati e inconcepibili, durante i quali ogni contatto con il patchwork, per obbligo o per prudenza, è rimasto confinato tra le mura domestiche.
Ricordo che, in primavera, l’arrivo del vaccino mi regalò un alito di speranza, presto smorzato dai bollettini che rinviavano sine die l’uscita da questo malefico tunnel che c’ha regalato la Cina.
Del Festival of Quilts di Birmingham manco a parlarne, tanto più che la situazione sanitaria nelle Midlands era in peggioramento, e inoltre le complicazioni derivanti dalla Brexit fanno del loro peggio per dissuadermi dal frequentare la terra degli albioni. Vi confesso che, nonostante io ami molto l’Alsazia, la perfetta cornice per il Carrefour Européen du Patchwork, a malincuore c’avevo già rinunciato; troppi i rischi di contagio connessi al lungo viaggio in treno o in autobus. L’aereo, già lo sapete, poco mi garba, e guidare l’automobile per 1700 chilometri (tra andata e ritorno) sarebbe stato uno stress di non poco conto per il mio sherpa/fotografo/guida/interprete/webmaster/tuttofare/ecc.
E allora? Continua a leggere →
Dal sito di ARTEMORBIDA, ecco il collegamento alla pagina web riguardante questa importante esposizione, sperando che nel 2022 ci saremo lasciate alle spalle questo calvario.
Non so voi, ma io sono abbastanza allarmata dalla constatazione che la pandemia di Coronavirus non ha nessuna intenzione di lasciarci in pace. Già The Festival of Quilts di Birmingham è saltato, come pure il Patchwork Sitges in Catalogna, il Carrefour Européen du Patchwork in Alsazia, il Prague Patchwork Meeting in Boemia, e chissà quante altre esposizioni che ancora non conosco. Ci sarebbe in ottobre il Quilt Fest austriaco, ma, come suggerisce il titolo del post, non me la sento di rischiare. A quanto pare c’è chi invece non considera pericoloso organizzare eventi di forte richiamo, anche se tali manifestazioni si svolgono al chiuso, con quel che potrebbe conseguirne. A tal riguardo vi rimando qui sotto a un articolo presente nel blogultimelune.it , dove vengono mosse alcune alcune osservazioni che dovrebbero far riflettere.
Mi sbagliavo. Sai che novità, direte voi. E invece la novità c’è, ossia che mai sono stata così felice di sbagliarmi. Penso che da un po’ abbiate notato nei miei post un’ombra di stanchezza, si direbbe un larvato pessimismo nei riguardi del patchwork, come se avessi smesso di aspettare che sull’estremo confin del mare si levi quel fil di fumo, colorato s’intende, e che si stessero dissolvendo quelle illusioni alle quali mi sono sempre aggrappata fin da quando ho iniziato a tagliare e ricucire dei frammenti di stoffa. Vi confesso che, nel passato, c’è chi ha fatto del suo peggio per demoralizzarmi, ciò nonostante tutto ho sopportato e tutto potevo sopportare ancora, ma ultimamente non riuscivo a reggere lo sconforto causato dalla sensazione che fossi testimone di un tramonto, il ripiegamento del patchwork su sé stesso, la riproposizione di temi già visti, le fughe in direzione del puro effetto, le esibizioni velleitarie nelle quali mancavano sia l’arte che la tecnica, e, nota dolente, l’esiguità di un promettente ricambio generazionale. Le prime crepe si erano formate già qualche anno fa, quando erano troppo frequenti dei déjà vu, l’impressione di minestra riscaldata tanto per capirci, e a ricevere apprezzamenti e premi erano i soliti nomi noti. Ah, che madornale errore il mio! Ero cieca, ma ora vedo. Chi ha fatto il miracolo? Un solo nome: 25° Carrefour Européen du Patchwork.
Con il solito, direi quasi proverbiale ritardo, sono riuscita a stendere le mie impressioni sull’ultima mostra di Verona Tessile. Purtroppo la realizzazione del post precedente sul PPM2019 mi ha preso abbastanza tempo, e inoltre vi confesso che sentivo anche la necessità di riflettere prima di esprimere una mia opinione sulla mostra di Verona, per vedere la quale è sicuramente valsa la pena di svegliarsi all’alba per arrivarci in treno, ma che mi ha dato di che discutere durante il viaggio di ritorno a sera inoltrata. Diciamo che alcuni aspetti hanno risvegliato il mio spirito critico, quell’indocile bestiaccia che sempre mi sussurra commenti velenosi con lo scopo di rovinarmi i momenti belli della vita e di procurami la meritata fama di rompiscatole. Però tutto ciò a voi non interessa, perché siete qui per vedere delle creazioni tessili, e pertanto mi limiterò a qualche osservazione maliziosa, giusto un pizzico di sale e pepe qua e là.
Questo è un post importante.
Potrebbe essere il mio ultimo articolo sul Prague Patchwork Meeting. Precisiamo, non è che sia rimasta delusa dalla mostra, tutt’altro. Le opere esposte erano apprezzabili, sistemate con gusto e criterio, variate nello stile e perfettamente godibili, insomma tutto bene come sempre. Ma è proprio quel “come sempre” a mettermi in crisi. Già prima di partire temevo di trovarmi di fronte al solito copione, pregevole fin che si vuole, ma troppe volte replicato. Ecco allora la solita strada, con il solito marciapiede e i soliti due tombini senza coperchio che se ci finisci col piede dentro ti fai fuori la caviglia (a essere ottimiste). Ecco la solitaripida scala metallicastile “La collina del disonore”, salendo la quale prima o poi qualcuna si sentirà male. Ecco nell’atrio la solita esposizione a tema sistemata sui soliti cavalletti del 2011. Ecco la solita disposizione impeccabile, ma canonica, delle opere, per cui tutto appare ma nulla emerge. Ecco le solite creazioni tessili, talune ammirevoli per fattura e composizione, comunque gradevoli, però mai imprudenti o impudenti. Ecco ancora, per buon peso, la solita (e inspiegabile) assenza a Praga di cartelli, affissi, volantini, o anche minimi indizi che citino il Meeting. Ci tengo a precisare che a Jana Štěrbová (Deus ex machina della mostra) va tutta la mia ammirazione, per la sua cifra artistica in primis, ma anche per essere riuscita a gestire per tanti anni questa manifestazione patchwork. Resto convinta che la persona in grado di tenere assieme e mettere d’accordo un gruppo di quilter può tranquillamente venir candidata al ruolo di Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Detto ciò avrei sperato che, in un attimo di coraggio o di follia, lei decidesse di uscire dagli scorrevoli binari del successo garantito e rischiasse relazioni e reputazione per battere sentieri ancora inesplorati. Forse la colpa è invece soltanto mia. Troppe cose ho già visto, e troppo in alto pongo ormai l’asticella della mia considerazione. Sono un po’ come il viaggiatore che ha girato mezzo mondo e che trova difficile provare ancora meraviglia, perciò confesso qui la mia colpa, quella di essere diventata incontentabile e sofistica, in una parola: viziata. Fatta questa premessa, è ora che vi racconti qualcosa della mostra, un’esposizione che comunque consiglio di andare a vedere, almeno una volta. Magari potrei consigliarvi di andarci con più comodità di quanto abbia fatto io, perché non so se tutte le aficionade del patchwork siano in grado di reggere dodici ore andare e dodici ore tornare di autobus notturno; magari sarei in grado di suggerirvi dei trasferimenti più confortevoli.
Dal 5 al 7 aprile c’è il Prague Patchwork Meeting, all’Hotel Step di Praga, ma non solo. In centro (finalmente!) si terrà anche il Festival textilu a quiltu, e più precisamente in via Koněvova 929/19, nel quartiere di Žižkov.
Io ci sarò anche quest’anno, stavolta sperando di vedere delle novità espositive, giusto qualche refolo d’aria fresca che mi tenti anche per le prossime edizioni. Vi farò sapere…
P.S. Qualora vi servissero suggerimenti, indirizzi, pareri, idee circa Praga e la Boemia, non avete che da chiedere. Ahoj
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