Made in Japan

Vicenza, 23 ottobre 2010, ore 9 e 30, Fiera, donne, donne dappertutto. Mi trovavo lì, di buon mattino, assieme a tutta quella gente, per visitare la mostra-atelier della manualità creativa “Abilmente”.

Questa manifestazione è cresciuta negli anni, diventando una tappa obbligata, un appuntamento imperdibile per tutte le appassionate del cucito creativo.
Anche quest’anno Abilmente non ha deluso le aspettative.
Ho potuto vedere, ammirare, invidiare, i capolavori esposti nelle varie mostre. Come ogni anno, nell’area shopping, zeppa di espositori provenienti da tutta Europa e pure uno dal Giappone (che insegnava come fare in 2 minuti una borsa con un semplice foulard), ho potuto comperare strumenti e materiali che i negozi della mia zona classificano come “inesistenti”.

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L’arcobaleno sul mare – Grado 2010

Arcobalenosulmare

Mai avrei pensato, il giorno che sciolsi la mia variopinta vela latina, che non sarei più tornata a quella riva, l’usato suolo dal quale mi stavo allontanando.
Mi ero proposta una breve escursione, giusto fuori dalla cala, tanto per provare, ma l’oceano mi trovò subito, sconsiderata e ingenua qual’ero, e mi portò via con sé.
Di quanto mare mi si son colmati gli occhi da allora, e quanto ancora ne dovrò vedere!
Con la pratica, dicono, viene il coraggio e, giorno dopo giorno, ho aggiunto altre vele colorate al mio vascello, una pezza alla volta. Esso è ora assai diverso da quando mi staccai da riva: è più forte, più veloce, più sicuro, e io con lui.
Quando uno zefiro gentile soffia in poppa, sugli alberi si gonfiano le multicolori vele, lo scafo sottile scivola e sparisce tra le creste, sembra quasi che io governi un arcobaleno sul mare. Tutto cambia allora: la luce, le tinte, le forme, prendono vita, si mostrano in nuove e inattese combinazioni, creano illusioni e sensazioni che bisogna catturare al volo tanto sono effimere, da conservare gelosamente, come fossero la mappa di un tesoro piratesco.
Badate, non è sempre così.
Qualche volta, anzi più spesso di quanto si vorrebbe, aleggia la voglia di arenare lo scafo su una spiaggia, scendere a terra, fermarsi, guardare indietro per compiacersi un po'; capita, nei periodi di bonaccia, con la velatura floscia e l’ispirazione inaridita; capita, quando, per una manovra sbagliata, si rischia il disastro, e tocca disfare e rifare; capita, durante una bufera, con le tele che schioccano e il legno che geme, e si teme di aver fatto il passo più lungo della gamba, che stavolta l’impresa sia destinata al naufragio; capita, con un maledetto vento contrario che costringe a una testarda andatura di bolina, un’incessante battaglia per vincere sulla modestia di preparazione, di strumenti, di cultura.
Anche quando i venti sono favorevoli e il mare è tranquillo, l’opera viva è intralciata, frenata dalle alghe e dalle incrostazioni che, indifferenti a ogni aspirazione, si abbarbicano alla carena, tutte quelle incombenze, le ricorrenze quotidiane, numerose come le formiche e fastidiose come le zanzare, una zavorra supplementare che, inesorabile, impiccia lo scafo e affligge il marinaio.
Allora scendo sottocoperta e apro il baule nel quale sono riposte le fantasie e le speranze dei giorni passati. Lì, sola, alla luce di un lume, scruto le mie carte, scorgo rotte non tracciate, fantastico di nuovi lidi dietro l’orizzonte, studio gli scogli e le secche da evitare, progetto la mia nuova avventura, preparo altre pezze per la velatura, mi metto al lasco, e riparto.
Fuggo la riva dalla quale un dì son salpata: troppe acque ormai ho solcato, mi sarebbe straniera, e forse neanche lei saprebbe ormai riconoscermi; cerco sempre il mare aperto, la mia tela, la mia tavolozza, la mia Fata Morgana.
Navigherò, intrepida e visionaria, a bordo di questo iridescente Olandese Volante, armata solo di pazienza e di fantasia, finché il vento del tempo non avrà stracciato tutte le mie vele, e delle mie scorrerie non resterà che un riflesso colorato sulle onde.

Questo è un breve resoconto della mostra di lavori patchwork che si è tenuta a Grado, tra il 24 settembre e il 3 ottobre 2010.

Nell’Auditorium di Campo S. Rocco, sono stati esposti alcuni dei lavori realizzati negli ultimi cinque anni da Rossana Ramani e Graziella Cini.

Il locale era abbastanza ampio (circa 60mq) ma si rendeva indispensabile una radicale operazione cosmetica.

Brrr… non propriamente caldo ed accogliente (eufemismo)

 

Dopo tutto un pomeriggio e una sera spesi su infide e cigolanti scale pieghevoli, con le dita bucherellate da malevoli spille di sicurezza, al termine di infiniti drizza e stira, cava e metti, alza e abbassa, e questo e quell’altro, tanto che a un certo momento ci venne il dubbio che i lavori da esporre avessero figliato a nostra insaputa, finalmente, alle 3 di notte, vedemmo, tra le nebbie della stanchezza e del sonno, il frutto delle nostre fatiche: niente male, veramente niente male.

Ora si poteva andare a dormire, pardon, a crollare sulla prima superfice orizzontale apparentemente morbida a disposizione.

La passione per i colori (chi per i caldi e chi per i freddi) e la combinazione che, per secoli, Grado sia stata un’isola, ci ha suggerito il tema della mostra, i colori circondati dall’acqua: l’arcobaleno sul mare. Tranne che per una breve escursione storica nell’abside, si è tentato di usare questo Fil Rouge per collegare le opere tessili (l’arcobaleno) con quanto ci attorniava (il mare). Ebbene, il destino ci mandò un segnale beneaugurante: il mattino dopo, uscito da un’alba piovosa, brillava sul mare ancora plumbeo, l’iride arcuata. Meglio di così, non poteva iniziare l’avventura.

E proseguì ancora meglio. Le due diversità stilistiche, le differenti preferenze cromatiche, la varietà di tecniche utilizzate, in unione al fatto che, per molti, il patchwork fosse un’assoluta novità, hanno contribuito a un successo inaspettato, facendo emergere in quelle terre lagunari una sensibilità artistica capillarmente diffusa.

Del resto, vicino a Grado, si trova la zona archeologica di Aquileia, e il lavoro centrale, una riproduzione di un mosaico presente nelle Sale Teodoriane, è una splendida testimonianza delle ricchezze culturali di queste terre.

Nell’immagine sottostante si possono ammirare tre opere di Graziella. Le sue preferenze vanno ai colori caldi, le forme geometriche, la quiltatura tradizionale a mano, le superfici estese. Essendo precisissima e veloce il risultato è sempre notevole, frutto di sudata esperienza e devota applicazione. Se non avete l’occhio millimetrico e la mano ferma come quella di una statua, non cercate di seguirla sulla sua strada: è inarrivabile.

Ecco un esempio dell’accuratezza e del calore emanato dalle sue creazioni, mentre Rossana si diletta, quasi gioca con le stoffe, realizzando dei pannellini come quello sopra la macchina da cucire.

Sarà un caso ma, mentre Graziella vive in un paese sempre baciato dal sole e ama le tonalità calde, Rossana abita in fondo a una stretta valle spesso cupa e ventosa, e vediamo che nei suoi lavori dominano spesso le sfumature di blu, di verde di viola, composizioni severe e fredde, come si può notare nei due pannelli sottostanti.

Gli impossibili intrecci della memoria e la speranza di un raggio verde prima del buio, contribuiscono a dare questi due lavori (cuciti a mano) anche una vaga interpretazione psicologica.

Nell’immagine sottostante vediamo, per contrasto, la gioia che sprizza dai colori utilizzati nel patchwork “Il giardino della vita“. Interrogata in proposito, Graziella ha ammesso che nel realizzare quel lavoro si è divertita assai, e che si è limitata a traspondere la sua allegria nei pezzi che man mano utilizzava nella composizione di questa coperta.

A ogni buon conto, l’eccitazione della mostra le ha messe entrambe di buon umore. Quello che vedete alle loro spalle è l’opera realizzata espressamente per la mostra. E’ un lavoro a “quattro mani”, frutto dell’abilità tecnica di Graziella unita con la sensibilità cromatica di Rossana. Si tratta di un Log Cabin inclinato, realizzato con elementi trapezoidali, ognuno di colore diverso, per riprodurre i riflessi increspati dell’arcobaleno sull’acqua. Se non è masochismo questo…

Questa immagine è emblematica della varietà di tecniche esibite (senza falsa modestia). Si partiva dal trapunto fiorentino, una tecnica medievale, per arrivare all’utilizzo di materiali innovativi come il tessuto non tessuto, oppure il Pile, passando per il Paper Piecing, il Crazy, gli standard americani, Mesh, Applique, pittura su stoffa, le curve, la cucitura inglese, ricamo con Silk Ribbon. ecc., comprendendo anche delle brevi dimostrazioni di quiltatura a mano.

Il patchwork “Gita al faro” è stato realizzato da Rossana nel più puro spirito patchwork, ovvero utilizzando solo materiali di recupero: camicie, grembiuli, ritagli di vestiti vari, e delle vecchie coperte di Pile.

Non ha mancato di fare la sua bella figura nemmeno questa vetusta, ma ancora funzionante, macchina da cucire Singer, che pare essersi preziosamente avvolta, come una gran dama, in questo meraviglioso lavoro di Graziella, forse per proteggersi dal gran freddo che emana il patchwork sovrastante di Rossana, intitolato “il Mediterraneo con i colori di Monet“. Brrr, freddo e pure umido…

Ecco l’angolino dedicato alle dimostrazioni di quiltatura, una lavorazione che ha spesso sorpreso per la sua peculiarità e i risultati estetici che se ne ricava. Soltanto confrontando la parte trapuntata con quella ancora da lavorare, ci si poteva rendere conto dell’effetto ottenuto; come dicono gli americani: “The quilting makes the quilt“.

Un loro sentito ringraziamento va a tutte le visitatrici e i visitatori della mostra, che si sono spesso profusi in complimenti che le hanno fatto arrossire. Il fatto di aver ricevuto vivi apprezzamenti anche da persone competenti di patchwork, provenienti dalla Francia e dagli Usa, e abituate probabilmente a livelli ben superiori ai nostri, renderà difficile il compito di non montarsi troppo la testa. Cercheranno allora di tenerla bassa sui prossimi lavori che, speriamo, saranno oggetto di mostre future.

 

Rossana Ramani             Graziella Cini