Mai avrei pensato, il giorno che sciolsi la mia variopinta vela latina, che non sarei più tornata a quella riva, l’usato suolo dal quale mi stavo allontanando.
Mi ero proposta una breve escursione, giusto fuori dalla cala, tanto per provare, ma l’oceano mi trovò subito, sconsiderata e ingenua qual’ero, e mi portò via con sé.
Di quanto mare mi si son colmati gli occhi da allora, e quanto ancora ne dovrò vedere!
Con la pratica, dicono, viene il coraggio e, giorno dopo giorno, ho aggiunto altre vele colorate al mio vascello, una pezza alla volta. Esso è ora assai diverso da quando mi staccai da riva: è più forte, più veloce, più sicuro, e io con lui.
Quando uno zefiro gentile soffia in poppa, sugli alberi si gonfiano le multicolori vele, lo scafo sottile scivola e sparisce tra le creste, sembra quasi che io governi un arcobaleno sul mare. Tutto cambia allora: la luce, le tinte, le forme, prendono vita, si mostrano in nuove e inattese combinazioni, creano illusioni e sensazioni che bisogna catturare al volo tanto sono effimere, da conservare gelosamente, come fossero la mappa di un tesoro piratesco.
Badate, non è sempre così.
Qualche volta, anzi più spesso di quanto si vorrebbe, aleggia la voglia di arenare lo scafo su una spiaggia, scendere a terra, fermarsi, guardare indietro per compiacersi un po'; capita, nei periodi di bonaccia, con la velatura floscia e l’ispirazione inaridita; capita, quando, per una manovra sbagliata, si rischia il disastro, e tocca disfare e rifare; capita, durante una bufera, con le tele che schioccano e il legno che geme, e si teme di aver fatto il passo più lungo della gamba, che stavolta l’impresa sia destinata al naufragio; capita, con un maledetto vento contrario che costringe a una testarda andatura di bolina, un’incessante battaglia per vincere sulla modestia di preparazione, di strumenti, di cultura.
Anche quando i venti sono favorevoli e il mare è tranquillo, l’opera viva è intralciata, frenata dalle alghe e dalle incrostazioni che, indifferenti a ogni aspirazione, si abbarbicano alla carena, tutte quelle incombenze, le ricorrenze quotidiane, numerose come le formiche e fastidiose come le zanzare, una zavorra supplementare che, inesorabile, impiccia lo scafo e affligge il marinaio.
Allora scendo sottocoperta e apro il baule nel quale sono riposte le fantasie e le speranze dei giorni passati. Lì, sola, alla luce di un lume, scruto le mie carte, scorgo rotte non tracciate, fantastico di nuovi lidi dietro l’orizzonte, studio gli scogli e le secche da evitare, progetto la mia nuova avventura, preparo altre pezze per la velatura, mi metto al lasco, e riparto.
Fuggo la riva dalla quale un dì son salpata: troppe acque ormai ho solcato, mi sarebbe straniera, e forse neanche lei saprebbe ormai riconoscermi; cerco sempre il mare aperto, la mia tela, la mia tavolozza, la mia Fata Morgana.
Navigherò, intrepida e visionaria, a bordo di questo iridescente Olandese Volante, armata solo di pazienza e di fantasia, finché il vento del tempo non avrà stracciato tutte le mie vele, e delle mie scorrerie non resterà che un riflesso colorato sulle onde.
La passione per i colori (chi per i caldi e chi per i freddi) e la combinazione che, per secoli, Grado sia stata un’isola, ci ha suggerito il tema della mostra, i colori circondati dall’acqua: l’arcobaleno sul mare. Tranne che per una breve escursione storica nell’abside, si è tentato di usare questo Fil Rouge per collegare le opere tessili (l’arcobaleno) con quanto ci attorniava (il mare). Ebbene, il destino ci mandò un segnale beneaugurante: il mattino dopo, uscito da un’alba piovosa, brillava sul mare ancora plumbeo, l’iride arcuata. Meglio di così, non poteva iniziare l’avventura.
E proseguì ancora meglio. Le due diversità stilistiche, le differenti preferenze cromatiche, la varietà di tecniche utilizzate, in unione al fatto che, per molti, il patchwork fosse un’assoluta novità, hanno contribuito a un successo inaspettato, facendo emergere in quelle terre lagunari una sensibilità artistica capillarmente diffusa.